#finto appoggio
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Oh my skinny love, please do not disappear -Gojo Satoru
«Suguru»
Gojo lo richiamò con un filo di voce, sorpreso di vederlo lì nella sala comune. Era da giorni che non riuscivano a trovarsi fra una missione e l’altra, distanti in due diverse città ad esorcizzare maledizioni da soli, esausti crollavano ad orari improponibili ed incompatibili... Anche se spossato e sporco di un misto disgustoso di polvere, sangue e residui maledetti, fu felice di scorgerlo comodamente seduto sul divano. Non si voltò nella sua direzione, perso nei propri pensieri non lo aveva nemmeno udito, invece rimase rivolto verso la parete vuota adiacente alla grande finestra socchiusa dalla quale proveniva l’umido fiato della pioggia. Aveva gli occhi stanchi, le occhiaie sempre più scure iniziavano a competere con quelle perennemente violacee di Shoko, e mogio lasciava bruciare la sigaretta stretta fra le labbra. Pensò che fosse ritornato anche lui da poco. La maglietta scura che indossava ricadeva morbida sul suo busto come se all’interno non vi fosse nulla. Aveva sempre deriso la sua predilezione per gli abiti larghi, diffidando parecchio di tutta quella comodità che lui invece garantiva di trovarvi. Però non poté fare altro che notare che anche i pantaloni grigi di tuta incominciavano ad apparire vacanti.
«Tutto okay, Suguru? Mi sembri deperito…»
Gli aveva chiesto qualche pomeriggio fa, quando era riuscito a beccare sia il corvino che la mora ed orgoglioso aveva mostrato loro la sua nuova capacità di manipolare lo spazio infinito.
«Sono solo un po’ stanco, è colpa del caldo…»
Si era giustificato facendo morire lì la discussione. Gojo aveva cercato negli occhi di Shoko un appoggio, aveva pensato che potesse aiutarlo ad insistere sull’argomento ma non era stato così. Lei non aveva detto niente. Forse per non mettere in imbarazzo Geto, forse perché aveva già provato e si era data alla rassegnazione… qualsiasi fosse stata la ragione, l'aveva turbato. Sentiva un doloroso magone spezzargli il fiato come un pugno allo sterno ogni volta che ci ripensava, ogni volta che ci riprovava, ogni volta che lo scorgeva assottigliarsi sempre di più all’interno dei propri vestiti e detestava con tutto se stesso l’incapacità di poter fare qualcosa, la qualsiasi cosa. Aveva paura. Il corvino incominciava ad imbrunire come i folti alberi d’estate a ridosso dell’autunno. Aveva paura di vederlo ancora per un istante e poi sparire. Una rinsecchita radice nera tumulata dalla neve gelida. Pallida era la pelle delle sue braccia, delle sue clavicole, del suo collo e non era la bella tonalità avorio che risaltava grazie ai suoi capelli corvini. Era malaticcia. Gli ricordava la nausea che susseguiva ogni sua consumazione maledetta. Ed ora era una costante, non era più un momento o una sera di quell’inferno... no, era un giorno appresso all’altro, quotidiana come se fosse stata normale.
«Suguru...?»
Questa volta Gojo ebbe la certezza di essere stato riconosciuto. Lo vide schiudere le palpebre come se si fosse appena risvegliato, scoprire le iridi ossidiana vitree. Diede colpa alla scarsa luminosità della stanza, non volle fantasticare sull’assenza di vivacità in quegli occhi che aveva sempre considerato il vuoto cosmico. L’albino percepì una fitta laddove era stato trafitto un anno addietro, laddove la pelle nuova si era cicatrizzata con obbrobrio a quella quella vecchia sotto la camicia chiara della divisa, quando quegli occhi si fissarono su di lui. Da amorevole vuoto cosmico a terrificante buco nero. E sentì la cicatrice ardere dolorosamente per il finto sorriso che il corvino aveva sforzato per lui. Trattenne il fiato, incapace di agire in qualunque modo. Geto sollevò lentamente il braccio sinistro e prese la sigaretta quasi finita dalle labbra, espirò grigiastro intanto che si sollevava appena e, incrociando le gambe, spense la cicca nel posacenere lasciato sul tavolinetto poco lontano dal divano. Gojo si mosse d’istinto non appena quello cercò di alzarsi in piedi. Repentino camminò all’interno della sala raggiungendo la finestra e l’aprì cosciente delle sue intenzioni. L’aria fredda lo fece rabbrividire e l’odore di pioggia gli impregnò le narici mescolandosi a quello della nicotina. Quando si voltò, tirò un sospiro di sollievo: Geto non si era mosso dal suo posto, l’aveva guardato in silenzio, paziente. La sua espressione era illeggibile, l’albino faticava a comprendere se fosse o meno felice quanto lui di vederlo. Cacciò via il dubbio e si gli avvicinò mentre con le braccia attorno a se stesso provava a sgelare l’umidità che lo aveva colpito. Non disse nulla. Non dissero nulla. Il corvino schiuse le labbra ma non emise alcun suono. Gojo sbottonò la giacca scura della divisa e la abbandonò a terra, si tolse le scarpe e senza pensarci due volte si buttò addosso a lui. Anche se colto di sorpresa, Geto lo accolse immediatamente fra le proprie braccia e lui nascose il proprio sorriso contro la sua maglia scura. La gentile curva delle labbra tremò appena quando abbracciando il suo busto potè scoprire quanto questo avesse perso di massa. Gli era fragile al tocco e si pentì di essergli saltato addosso in quel modo, temette di avergli fatto del male e il senso di colpa gli strinse un nodo alla gola perché sentiva la stessa premura da parte di Geto nei suoi confronti. Il corvino con solenne riverenza gli accarezzava la schiena, su e giù lungo la colonna vertebrale e poi la nuca, giocava con le ciocche argentee pettinandole con attenzione per non tirare alcun nodo.
«Come mai tutto questo affetto?»
La domanda risuonò inappropriata, contraddittoria ai suoi gesti e le guance di Gojo arrossirono.
«Ho sonno, non è colpa mia se tu eri in mezzo alla strada fra il divano e me»
Brontolò nascondendosi meglio nell’incavo del suo collo, non volendo assolutamente farsi vedere imbarazzato. E se era bastato poco per tingergli le guance di porpora, il suono della risata del corvino lo mandò su di giri fino a fargli girare la testa: abbracciati in quella maniera condividevano i battiti ed i respiri, due corpi parevano uno solo, due anime si intrecciavano fra loro fino a divenire inseparabili, indistinguibili, una cosa sola.
«Dovresti resistere il sonno ancora un po’ e andare a farti una doccia, Satoru»
Il consiglio lo fece incollerire. Sollevò il capo quanto bastava per lanciargli un’occhiata truce e fu difficile combattere l’affetto che, nonostante l’assenza di luce, il corvino trasmetteva tramite lo sguardo.
«No, lasciami dormire»
Si rifiutò e ritornò comodo contro il suo petto.
«D’accordo»
Mormorò piano contro la sua fronte arrendendosi, intanto che lo stringeva forte a s�� per paura di vederlo ancora andare via e lasciarlo nuovamente da solo.
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Eppure io ci penso ancora.
Sono rimasta così delusa del suo comportamento.
Mi giurava di amarmi,di voler star con me ma era così finto.
Io sono stata per lui un appoggio,una distrazione..
Mentre stava con me cercava di recuperare il rapporto perso con la sua ex.
E corso a vivere a casa sua lasciandomi sola qui.
Distruggendo tutto ciò che avevamo costruito.
Lui ora è lì,felice con lei,con la sua famiglia,mentre io sono qui ancora con il cuore infranto,ancora con delle ferite aperte a pensarlo,perche’ non riesco a cacciarlo via dal mio cuore e dalla mia testa!
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La notte prima dell’ultimo dell’anno è terribile, non sei offuscato dal mood di festa vero o finto che sia e ti ritrovi a fare il resoconto dell’anno passato. Ho avuto delle soddisfazioni enormi, il corso mistico, il viaggio a Roma, il viaggio negli Stati Uniti, gli obiettivi raggiunti sul lavoro, ho incontrato dal vivo la mia amica di una vita (due volte) e mi sono riavvicinata a chi credevo di aver perso.
Poi però passi alle delusioni, sul piano umano e dei raggiungimenti personali e ho un po’ meno voglia di festeggiare questo 2022.
Ho talmente meno voglia di festeggiare che stanotte ho pensato davvero di farla finita. Perché i fallimenti pesano sempre di più dei successi? Perché scelgo di isolarmi e poi mi pesa la solitudine? Perché in mezzo a persone che mi vogliono bene davvero e che sarebbero disponibili a darmi un appoggio io continuo a cercare attenzioni da chi per me non ha più niente?
Oggi mi impongo di brindare a un nuovo inizio e non a questa indegna conclusione di un anno difficile, ma pieno.
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Fantasmi
Tutte quelle persone che fingono di starti accanto, ma...
Poi quando crolli, chi c'è con te?
Te lo dico io, NESSUNO!
Tutti falsi amici accanto, che fanno finta di capire, tutti grandi quando c'è da scherzare.
Aver voi come amici e come se io sto inciampando e voi tendete le mani per aiutarmi, ma, siete solo fantasmi, quindi sono senza appoggio.Cado e voi siete lì a far finta di tendermi la mano.
#fantasmi#nessuno#persone false#persone che fingono#accanto#nessuno accanto a te#sola#solo#falsi#falsità#falsi amici#amici finti#sorrisi finti#cadere#aiuto#fanculo gli amici falsi#soffrire#appoggio#appoggiarsi#finto appoggio#morire dentro
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L’intesa è perfetta, non serve parlare per capire ciò che vuoi. Un tuo movimento, un tuo sguardo o quel sorriso beffardo, mi fanno capire subito le tue intenzioni.
Figli a letto, due minuti in bagno, e sono lì accanto a te. E non aspetti neanche un secondo per avere ciò che vuoi. Le tue mani sotto le coperte vanno dritte all’obiettivo, mentre mi giro verso di te per un finto bacio della buonanotte. Sapevo perfettamente che non sarebbe stato l’ultimo.
Mi fai due battute, ridiamo insieme come fossimo adolescenti alle prime armi e poi... la passione ha il sopravvento.
La tua voce bassa e sicura che mi chiama, i tuoi occhi che osservano senza farsi sfuggire nulla, le tue mani che sfiorano piano senza pudore. Tutto mi tiene incollata sopra di te.
Ti faccio sentire il mio piacere, e te lo dico. Nessun freno, nessuna inibizione. Con una mano mi tocco, aprendo le labbra per farti sentire quanto sono bagnata di piacere. Con l’altra prendo il tuo sesso già voglioso, e lo appoggio lì, e mi muovo e ti muovo, come se i nostri corpi si baciassero.
Le tue mani nel frattempo non smettono di cercarmi. Mi tocchi i seni, mi stuzzichi piano i capezzoli, mi lecchi la lingua come se non l’avessi mai assaggiata prima.
E il mio inferno cresce, il mio piacere ogni secondo più dirompente, mi trasforma senza che io possa far niente.
I tuoi occhi non smettono di guardare i miei, le tue mani non vogliono saperne di fermarsi, come del resto le mie, che continuano a giocare con i nostri umori più caldi e nascosti.
Mi fai alzare un attimo il bacino e con un dito entri in me, piano, dolce. Esci lentamente. Mi chiedi di continuare a giocare come prima, ma mi chiedi anche di aprire la bocca. Avvicini il dito alla mia lingua, e con quella voce eccitata ma calma mi sussurri piano di leccare e succhiare il nostro sapore.
Ti piace amore mio? Assaporaci....
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Martedì 31 Agosto 2021
E invece mi ritrovo ancora a scrivere di te, questi ultimi mesi ho avuto il tuo pensiero fisso, non ti ho dimenticato, non ci riesco, sei stato il mio primo amore e non riesco a toglierti dalla mia fottuta testa. Nonostante siano passati anni, nonostante non ci sia stato nulla che più di un abbraccio tra noi due mi hai completamente stravolto la vita, tanto che non riesco ad avere relazioni a lunga durata, perché? Non lo so, paura forse. Sai, ho provato molte volte a scrivere un libro su di te, sulla nostra storia, ma non ci riesco, non riesco ad esprimere quello che voglio su una tastiera di un PC, sapendo che poi la gente possa leggere e innamorarsi di te, come ho fatto io. E ora che sono cresciuta mentalmente, posso capire che tu sei una persona tossica, ma all'epoca non lo capivo e nemmeno ora voglio capirlo, perché voglio conservare il tuo sguardo ingenuo, i tuoi abbracci, la tua stretta di mano, non voglio ricordati come il ragazzo che mi ha distrutto il cuore, voglio ricordarti come quel ragazzo che nonostante tutto mi ha fatto battere il cuore per la prima volta.
Io ti cerco, ti cerco negli occhi degli altri, nei movimenti, nei passi, nelle parole, ti cerco in ogni dove e dovrei smetterla, perché gli altri non sono te ed io non posso aspettarti, perché so che non arriveresti mai.
Ho buttato la felpa rossa, molto probabilmente non la ricordi, ma con quella felpa mi sono ammalata, il rosso era il nostro colore, e la mettevo ogni volta che cercavo un tuo appoggio, un tuo riscontro, un tuo sostegno. La mettevo perché mi proteggeva, perché era associata a te, ma ho ancora la tua rivista di moto, quella non la butto è li nella libreria insieme ad altri libri, dovrei riconsegnartela, ma ormai sono passati anni, me l'hai portata quando ero in ospedale, "ridammela poi" mi dicesti, ma io non lo feci, non perché me ne dimenticavo, ma perché volevo avere una scusa per vederti ancora. Ma è stata solo una scusa. Conservo ancora la tua lettera di compleanno, scritta a forza, con parole buttate sulla carta senza un senso logico, ho finto di essere felice per quella lettera, ma non lo ero, ma non volevo fartelo notare, finzione. Ho i tuoi disegni fatti al bar della scuola alle 7 del mattino, in cui mi dicevi "buttali!" ed io ti rispondevo di si, ma non lo facevo mai, li nascondevo nella tasca, per conservarli. Ricordo tutto alla perfezione e mi dispiace che sia finita così. Avrei tanto da dire, da raccontare, ma fai parte del passato e non mi va di ritrovarti nel presente.
Mi dispiace che sia finita così.
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Questo è l’inizio di come tutto finirà.
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Ore 4:05.
Mi ricordo quando da bambina pensavo che, una volta cresciuta e raggiunta l'adolescenza, avrei passato tutte le notti a fare festa, senza sosta, fino alle 4 di mattina. E ora mi viene da ridere, perché non avevo la minima idea di cosa mi stava aspettando. Alle 4 a piangere istericamente soffocando le urla nel cuscino, ad affondare quelle lamette nelle gambe e bruciare dal dolore, a bere non per divertirsi ma per dimenticarsi di stare male. Alle 4 senza nessuno da chiamare, sola in camera al buio, attacchi di ansia, manca il respiro. Alle 4 chiedendosi quando tutto questo finirà, quando finirà questa vita e questa sofferenza.
“Mi uccido o non mi uccido?” penso, mentre apro il cassetto del comodino per tirare fuori il cacciavite. Poi prendo sulla scrivania un temperino giallo e inizio a smontarlo. E’ strano, il giallo è sempre stato il mio colore preferito. Quasi ogni cosa in camera mia è gialla, dalle pareti alla lampada, dallo zaino ai vari souvenir riposti sulla mensola. E’ strano perché il giallo è un colore così allegro e solare, pieno di energia e voglia di vivere. Appena entri nella stanza vieni pervaso da una sensazione di leggerezza mista a entusiasmo, un’esplosione di colore per gli occhi.
Eppure io non mi rispecchio per niente in queste caratteristiche.
Sono una ragazza di 18 anni, la mia vita? E’ una storia triste. Anche se, sinceramente, non so come sono arrivata a questo punto. Fino a tre anni fa tutto andava decentemente, ero quasi una ragazza “normale”. Avevo bei voti a scuola, qualche amico, al pomeriggio il corso di pianoforte e alla sera la palestra. Non ero soddisfatta, avevo già dei problemi e un passato difficile, ma andava bene, potevo continuare… Un giorno qualcosa si è rotto. Non so cosa, non so il perché. So soltanto che ora mi ritrovo senza niente. Il mio corpo è come un contenitore vuoto. E’ vero, è vivo, ma sotto la pelle non ci sono sentimenti o emozioni. Non sento più niente, non sono felice, non sono triste. Semplicemente sono morta dentro. E quel giallo che riempie la stanza è come il mio sorriso: un involucro finto che nasconde un intonaco bianco e infinita sofferenza. Io sono così, ho la capacità di apparire calma mentre di me urlo e tutto cade a pezzi. Sono così brava che nessuno si accorge di niente e mi viene da piangere, perché ho bisogno di aiuto, ma ormai sono invisibile alla gente. Sono una di quelle persone che non ti diranno mai se stanno male, neanche se le sbatti al muro, quelle che si tengono tutto dentro, che nascondono la sofferenza in silenzio. Quindi indosso il mio sorriso vuoto, abbasso gli occhi , dico “sto bene” e tutti mi credono. Molti pensano che se sorridi sei felice e se piangi sei triste, pochi sanno che si può anche piangere di gioia e sorridere per nascondere il dolore. E sorridere fuori, ma non dentro, è peggio che piangere.
Ecco, va sempre a finire in questo modo: inizio a pensare e mi perdo in riflessioni assurde. La mia mente è come una malattia mortale, produce troppi pensieri al secondo e, lentamente, sta uccidendo la mia anima. Si sa, pensare troppo causa solo problemi.
Ho finito di smontare il temperino, tolgo la vite e stacco quel pezzo di metallo. E’ freddo, tenerlo in mano mi fa sussultare. Un brivido mi percorre la schiena pensando a cosa sto per fare. Accendo la luce, ma continuo a vedere buio perché l’oscurità fa parte di me.
C’è troppo silenzio in questa casa. Forse è perché sono le 4 di notte e la gente dorme, o forse perché non è solo la casa ad essere silenziosa, ma anche la mia vita. Troppe parole non dette, troppe paure nascoste, troppe richieste d’aiuto trasformate in inutili cicatrici sulla pelle con la speranza che qualcuno le noti. Niente mi terrorizza o mi isola di più che sentire la mia stessa voce rimbombarmi in testa. Alzo il volume della musica. Così va meglio.
Sono al limite, davvero. Ho una voglia irrefrenabile di farmi male. E quando succede così, non so, qualcosa dentro di me si spezza e inizio a distruggermi per una pace mentale che non avrò mai. Ma un’altra notte a tagliarmi e piangere non la voglio passare. Sono esausta, non ce la faccio più. A cosa devo aggrapparmi per continuare a vivere? Mi sento demotivata, vuota, apatica. Sono una nullità distrutta. Disperata. Sola. Sbagliata. Sono rotta. Ho paura di provare queste sensazioni per sempre. Mi sembra impossibile uscire viva da questa situazione. Ne vale la pena? E poi qual è il senso di tutto questo patimento? Non credo più che vivere sia una bella cosa.
Ho la mente offuscata e le urla mai gridate mi soffocano la gola.
Un’altra notte così non la voglio passare.
Appoggio la lametta sul polso e incomincio, prima sfiorando la pelle piano come una carezza leggera, poi sempre più forte. Aumento la pressione man mano che il sangue cola dalle ferite.
Il dolore si alterna al piacere.
Tiro un sospiro di sollevo.
Il rosso che sta scivolando dal braccio è in contrasto con il giallo abbagliante delle coperte sul letto. Finalmente quella maschera di falsa felicità sta crollando.
Mi ero già fatta del male da sola in precedenza, ma mai in profondità e mai con il desiderio di sparire per sempre.
Abbasso i pantaloni all’altezza delle ginocchia per scoprire le cosce bianche segnate da decine di cicatrici. Sono piccoli det(tagli) che sanno di sofferenza. Il problema è che mi fa più male riuscire a non farmi male, piuttosto che farmi male e basta.
Dovevo chiedere aiuto anni fa, ma non l’ho fatto. Sono stata zitta contro al muro del silenzio, con la paura di essere giudicata. Vorrei che qualcuno vedesse quanto dolore porto dentro di me, però, ora è troppo tardi. Mentire sul mio stato d’animo fa parte della mia routine. Ogni giorno dico alle persone di essere stanca, ma in realtà sono depressa. Dico che ho l’allergia, ma in realtà ho gli occhi lucidi perché sto piangendo. Dico che “sono pulita” mostrando il braccio destro, ma in realtà il sinistro è pieno di segni rossi. Dico sempre che domani andrà meglio, ma in realtà andrà peggio. Tante e inutili bugie per mostrarmi forte davanti alla gente, quando dentro di me, lo so benissimo, sono fragile. Oh sì, sono così fragile che potrei spezzarmi da un momento all’altro.
Crollo sul pavimento, tremando, incurante del sangue che ormai fuoriesce dalle ferite.
Non posso più farlo. Non posso vivere.
Troppo. La vita è troppo, questa situazione è diventata insopportabile e io non so più come aggiustare il dolore. Il problema sono io, come posso stare meglio senza uccidermi?
E’ una guerra contro me stessa, in ogni momento, nella mia testa. Sono un campo di battaglia in cui i miei pensieri non mi lasceranno vincere facilmente.
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"In fondo cosa potevo garantirgli?
Beh,potevo assicurargli un bel po' di cose..
ad esempio,non lo avrei mai tradito,
ho sempre preferito dire le cose in faccia piuttosto che pugnalare alle spalle.
Gli avrei garantito un appoggio,una spalla su cui piangere,un sostegno morale,
consigli su qualsiasi cosa,
dal colore di una camicia,
alle decisioni importanti della sua o della nostra vita,
non lo avrei influenzato,
avrei parlato dei pro e i contro e ciò che secondo me era più giusto.
Gli avrei assicurato che mai e poi mai mi sarei stancata dei suoi occhi e delle sue parole;
la mia presenza anche alle 5 del mattino se ne avesse avuto bisogno,
e del silenzio se lo avesse voluto,
del silenzio che tra quei sguardi parlavamo ad alta voce.
Gli avrei dedicato canzoni e poesie romantiche che lo facessero piangere e battute stupide e forse anche divertenti per farlo ridere,avrei pure finto di cadere o inventato cose mai successe solo per vederlo piangere dalle risate quando era triste per poi rivelargli il giorno successivo o qualche minuto dopo che erano solo cazzate,inventate solo per vedere quel bellissimo solco sul suo viso che compare quando ride.
Avrei fatto questo e molto altro ancora se solo me lo avesse concesso,ma forse non gli sarebbe bastato,o semplicemente, non è questo ciò che avrebbe voluto,forse non da me,o forse non mi conosceva abbastanza per capire ciò che avrei potuto dargli.
Se un giorno ti capiterà tra le mani il mio cellulare,la password è sempre la stessa,sbloccalo e leggi di come parlavo e parlo di te,e quei quaderni,che ancora uso,dove scrivo di te,Beh,se mai avrai l'occasione rileggili..
parla tutto solo di te,
e di noi. "
-Cit.me
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Capitolo 45 - Jordan, i ragni e i coltelli spuntati
Nel capitolo precedente: Eddie, rientrato alla galleria, condivide con la band il testo che ha scritto per la canzone che sentiva attraverso la porta. Il pezzo si chiama Oceans. Inventa poi una scusa per andare via prima, dato che deve uscire con Angie, scusa accettata senza storie da Stone, anche lui impegnato in un appuntamento segreto. Meg telefona alla galleria per parlare con Mike e proporgli di vedersi, lui comincia ad avere dei dubbi per quanto riguarda un eventuale riavvicinamento e sembra intenzionato a rifiutare l'invito della ragazza. Arriva finalmente il momento del tanto agognato appuntamento tra Eddie ed Angie, ma Angie non sa che è un appuntamento: era convinta che sarebbero usciti anche con gli altri ragazzi della band. Eddie, colto alla sprovvista, decide di non rivelare le sue vere intenzioni e di stare al gioco, perciò racconta ad Angie che gli amici hanno tirato il pacco per i motivi più disparati. I due escono ugualmente. Eddie trova nella macchina di Angie una cassetta che lei ha fatto per lui, vorrebbe sentirla, ma Angie è fermamente decisa a non dargliela prima della sua partenza. I due trascorrono l'intera serata al Pike Place Market. Prima di salutarsi Eddie dice a Angie che gli piacerebbe uscire di nuovo da solo con lei. Una volta tornata a casa, Angie scopre del due di picche di Mike, Meg viene a sapere dell'uscita tra Eddie e la sua amica e la tempesta di domande alludendo a possibili risvolti romantici, che però vengono respinti al mittente. Stone riaccompagna Grace a casa dopo la loro uscita, che a quanto pare è andata molto bene, e scopre che la sedia rotta è stata sostituita. Grace però, dopo aver finto nonchalance, rivela che non riesce a darsi pace per quella sedia “estranea” in casa. Stone propone di risolvere il problema mischiando le sedie, ma Grace non glielo permette perché impazzirebbe all'idea di non sapere qual è la sedia incriminata. Dopo un piccolo botta e risposta Stone e Grace si baciano.
***
“Ma io dico, si può perdere così?” domando incredulo al mio socio, seduto all'altra estremità del divano, mentre mi passa la ciotola dei popcorn, o almeno di ciò che ne resta.
“Già... però che partita, eh?”
“I Bulls stanno crescendo, potrebbero pure conquistarselo questo campionato. Certo, evitare di perdere da stronzi aiuterebbe”
Eddie, con la bocca piena di una manciata di popcorn, risponde con un cenno di assenso, mentre sullo schermo della tv scorrono le immagini dell'intervista a caldo del coach dei vincenti San Antonio Spurs e il telefono comincia a squillare.
“Chi sarà?” chiede Eddie masticando.
“Non lo so, sicuramente qualcuno che avrebbe rischiato seriamente la morte se avesse chiamato anche solo cinque minuti fa” borbotto cercando di allungarmi verso la poltrona accanto per acchiappare il cordless senza alzarmi dal divano. E facendolo ovviamente cadere. Ma la sfortuna non può nulla contro la mia pigrizia, un paio di strattoni al tappeto ed ecco il telefono magicamente nelle mie mani. Eddie osserva la scena in un misto di perplessità e totale rassegnazione all'avere a che fare con un deficiente.
Premo il pulsante per rispondere alla chiamata e ancora prima di avvicinarmi all'orecchio il telefono sento dei colpi di tosse provenire dall'apparecchio.
“Pronto?”
“Ehi Jeff”
“Angie?” la riconosco subito e nel preciso istante in cui la nomino Eddie si volta verso di me di scatto. Il poverino non si aspettava di trovarmi lì, pronto, a fissarlo col mio sorrisetto del cazzo, in attesa una sua reazione, così per dissimulare il suo interesse mi fa segno di ripassargli la ciotola, dove ormai rimane giusto qualche briciola e qualche chicco di granturco non scoppiato, fingendo un'improvvisa crisi di astinenza da pop corn.
“Bravissimo! La demenza senile non ha ancora preso il sopravvento su di te. Come va?”
“Io tutto bene, grazie, ma, a giudicare dalla voce, non posso dire altrettanto di te, cara giovincella”
“Sono un po' raffreddata, tanto per cambiare”
“Non ci provare nemmeno”
“Cosa?”
“Ad accampare scuse per non venire al concerto di domani sera”
“Non sto accampando scuse e non ho nominato il concerto” certo, come se non ti conoscessi!
“Intanto stai cominciando a mettere le mani avanti”
“Ma io ci vengo al concerto, non ti preoccupare!”
“Ecco, lo spero per te, o è la volta buona che io e Stone ti togliamo il saluto per sempre”
“Quante storie! Allora io cosa dovrei fare dopo l'altra sera? Non rivolgervi più la parola?”
“L'altra sera? Che sera?” non so di cosa stia parlando, ma il rumore della ciotola dei popcorn che rotola a terra alla mia sinistra mi fa capire a chi potrei chiedere chiarimenti in proposito.
“La settimana scorsa, ci avete tirato tutti quanti un pacco grande come una casa, non fare il finto tonto!”
“Io non tiro pacchi, aspe-”
“OH JEFF! JEFF! GUARDA, STANNO INTERVISTANDO JORDAN!” il piccolo coglione con cui condivido l'appartamento ha raccolto al volo il casino che ha fatto in terra e ora sta alzando al massimo il volume della tv, mentre mi scuote per una spalla cercando di distrarmi dalla conversazione telefonica. Pensa davvero che io sia così stupido?
“Ah bene, c'è anche Eddie! Poi... poi me lo passi per favore? Dovrei chiedergli ehm una cosa...”
“Certo... aspetta solo un secondo, ok?” mi appoggio la cornetta al petto e con calma prendo il telecomando dalle mani di Vedder, per poi premere MUTE “Allora?”
“Allora che?” mi fissa inebetito come se davvero non sapesse di cosa sto parlando.
“Cos'è questa storia di Angie e del pacco? E come mai sento che c'entri tu?” continuo sottovoce.
“Non ne ho idea, non so di cosa stai pa-”
“Eddie, piantala”
“E' una sciocchezza, non vale neanche la pena parlarne”
“Se vuoi che ti regga il gioco e ti pari il culo devi dirmi tutto, se no cazzi tuoi”
“Uhm... ok, va bene, ti dirò tutto... dopo” si arrende subito il caro Eddie.
“Allora c'entri tu sul serio?”
“Sì” ammette e io, soddisfatto, posso tornare trionfante alla chiacchierata con quel catorcio di Angie.
“Eccomi, si era incastrato il tasto del telecomando. Scusa per l'attesa... e per il bidone dell'altra sera. Avevo da fare, sai com'è”
“Sì sì, Eddie me l'ha detto, però potevi portare anche Laura. Insomma, capisco che vogliate anche starvene un po' per i cazzi vostri, non dico di no, ne avete tutto il diritto, però potevamo almeno cenare insieme”
“A volte si ha bisogno di un po' di intimità Angie, non so come spiegartelo, ti faccio un disegnino e domani sera te lo porto, ok?”
“Spiritoso”
“Dai, scherzo, era solo una battuta per rimarcare il fatto che domani ci devi essere”
“Ci sarò, non dubitare”
“Perfetto, ti passo Eddie allora. E per una sera lascia stare ascensori e macchine da scrivere, mi raccomando!” porgo la cornetta a Eddie mentre Angie mi sta ancora insultando tra un colpo di tosse e l'altro “Vuole parlare con te”
“Oh ok...” Eddie prende riluttante il telefono, ma appena se lo mette all'orecchio, al solo dire “Pronto”, ancora prima di sentire una qualsiasi risposta dall'altra parte, ha già cambiato espressione, assumendone una sognante con sorrisone annesso. Sarei curioso di seguire tutto l'iter della telefonata, ma il mio amico si sente subito osservato e mentre parla con Angie accertandosi della sua salute si allontana come se nulla fosse prima in cucina, con la scusa di portare via la ciotola ormai vuota e un paio di lattine da buttare, e poi direttamente in camera sua, dalla quale esce una decina di minuti dopo, senza telefono, ma con felpa, giacca e Chuck Taylor slacciate ai piedi.
“Esci?”
“Sì, faccio un giro” risponde sedendosi sul divano e chinandosi per allacciarsi le stringhe.
“Con Angie?”
“Ma va... no! Mica vado da Angie!” se stringe quei lacci un altro po' gli verranno i piedini come le povere geishe.
“No?”
“Nah, mi devo beccare... con Ian, il mio collega di lavoro. E poi forse andiamo da Cornell” spiega senza guardarmi.
“Cornell”
“Sì”
“Quello che abita di fianco ad Angie?” aggiungo con un ghigno.
“Non vado da Angie, punto” ribadisce scocciato.
“Ok. Ti vedi spesso con Cornell ultimamente o sbaglio?”
“Sì, può essere... Perché?” domanda guardandomi con sospetto.
“Non è che poi Angie è gelosa?”
“Vaffanculo, Jeff” sbuffa alzandosi e filando di nuovo in camera sua, per prendere chissà cosa.
“Dove vai?” gli chiedo di nuovo quando lo vedo sgattaiolare verso la porta senza salutare.
“Non vado da Angie! Quante volte te lo devo dire?!”
“Ok ok, ho capito, ma... non stai dimenticando qualcosa?”
“Vuoi venire anche tu?” e mentre lo chiede si vede lontano un miglio che sta bluffando e mi piacerebbe dirgli di sì, tanto per vedere come ne uscirebbe. Ma non sono così stronzo, non sono Stone.
“Nah, domani abbiamo il concerto e il mattino dopo partiamo, preferisco non fare niente stasera”
“E quindi? Vuoi il bacio della buona notte?”
“No, voglio sapere a che punto sei con Angelina, che cazzo hai combinato e che c'entriamo io e gli altri” elenco i tre punti di mio interesse contandoli uno per uno sulle dita.
“Adesso?”
“Adesso”
“Sbaglio o avevi detto che non avresti più accennato all'argomento e avremmo fatto finta di non averne mai parlato?”
“Consideralo un piccolo break”
“Beh, ecco...” Eddie tentenna all'inizio, ma poi cede e racconta del suo approccio malriuscito con Angie e del nostro presunto bidone di gruppo, rimanendo però molto vago su come sia andata la loro uscita vera e propria.
“Cazzo Eddie, però, anche tu...”
“Avevi detto di chiederle di uscire, no? E io gliel'ho chiesto”
“Sì, ma non ha neanche capito cosa cazzo le stavi chiedendo!”
“Pensavo fosse chiaro”
“Ma quando hai capito che lei non aveva capito... perché non gliel'hai spiegato?” se la tua bella ha delle lacune, sta a te colmarle, amico.
“Mi ha preso alla sprovvista!”
“Sei un idiota”
“Comunque è andata bene”
“Lo capisci che non è un appuntamento se lei non lo sa, vero? Insomma, non vale”
“Va beh, non deve essere necessiariamente un appuntamento, perché bisogna sempre dare un nome alle cose? Basta con queste etichette, insomma, siamo stati bene, stiamo bene, perché farsi tante paranoie?”
“Ok” lo fisso brevemente e infine rispondo con un'alzata di spalle.
“Ok”
“E' già qualcosa. E se va bene a te...” che tradotto sarebbe se te la fai troppo sotto per provarci seriamente, cazzi tuoi.
“Mi va bene, benissimo” risponde lui a bocca quasi serrata mentre si alza.
Stronzata megagalattica.
“Vai?”
“Sì, buona notte”
“Non fare casino quando rientri... se rientri” quanto mi piace farlo incazzare, sto diventando sadico come Gossard e non mi vergogno ad ammetterlo.
“Certo che rientro! Ci vediamo”
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Diversamente da Diane Keaton nel film intravisto non molto tempo fa, io mi sento tremendamente in colpa nel momento stesso in cui metto giù il telefono dopo aver parlato con Eddie. Perché va bene tutto, l'amicizia, i patti, la fiducia, ma oggettivamente non puoi chiamare una persona alle dieci e mezza di sera e chiedergli così, di punto in bianco, di attraversare la città per... per cosa? Per una cazzata, su, ammettiamolo! Chiamiamo le cose col loro nome.
Però non è colpa mia se Meg è dovuta uscire con Melanie proprio stasera.
Ma cosa c'entra?! Non sei più una cazzo di bambina, sei un'adulta. E una normale persona adulta non si comporterebbe così, una persona normale risolverebbe il problema in cinque minuti, con una ciabatta, o una scopa viste le dimensioni, una scopa molto robusta, senza tante storie e senza scomodare gli altri. E allora che senso ha andare a vivere da sola, lavorare ed essere indipendente, se poi continuo a rivolgermi agli altri per queste stronzate?
Però è stata un'idea di Eddie, in fondo.
Certo, perché Eddie è un buon amico, è leale e mantiene le promesse e ancora prima di telefonargli sapevi già che sarebbe venuto se lo avessi chiamato.
Però la colpa è anche di questo essere immondo, non poteva sistemarsi in sala? Si sta anche più caldi qui... beh, si fa per dire. Certamente di più che in bagno. Io avrei potuto barricarmi tranquillamente in camera mia, cosa che per altro sto già facendo causa frebbre. Oppure avrebbe potuto semplicemente nascondersi un pochino meglio e saltare fuori dopo la mia pipì serale, per poi essere libero (o libera?) di fare il bello e il cattivo tempo in tutto il resto della casa, almeno fino all'arrivo di Meg.
Come no, perché la natura e ogni elemento che ne fa parte sono tenuti ad essere a conoscenza delle tue abitudini e comportarsi di conseguenza, certo.
Il mio dibattito interiore è così avvincente che non mi accorgo del tempo che passa, oppure sarà colpa della febbre: suonano al citofono, Eddie è già qui. Gli apro e apro anche la porta dell'appartamento, stringendomi nella coperta marroncina che mi trascino ovunque peggio di Linus, e nell'attesa che il mio eroe arrivi, vado in fissa sulla vestaglia di peluche rosa appesa all'attaccapanni nell'ingresso, mentre vengo assalita da un'irrefrenabile voglia di metterla. Sarà anche vero che mi fa assomigliare a un marsh mallow, ma sicuramente mi darebbe un aspetto più presentabile rispetto al look in stile taco con troppo ripieno. Quando, nel silenzio del corridoio esterno, sento il rumore della porta dell'ascensore che si apre e si chiude, mi srotolo la coperta di dosso e la lancio nel ripostiglio, infilandomi la vestaglia al volo. Mi risistemo anche il mollettone sulla testa, specchiandomi brevemente e, allo stesso tempo, cercando di resistere all'urto di vomito causato dalla mia faccia ancora più pallida del solito, eccezion fatta per le occhiaie nere da panda e il naso rosso.
“Ehi” mi sorride appena mi vede e mi sento improvvisamente più rilassata. Ma anche più imbecille.
“Eddie sono mortificata” metto subito le cose in chiaro, mentre Eddie mi abbraccia, indugiando qualche secondo nell'accarezzare il morbido tessuto della vestaglia sulla mia schiena.
“Oh, il mio antistress preferito”
“Lo so che sono malata di mente, me ne rendo conto”
“Non stare sulla porta, entriamo che fa freddo” mi scioglie dall'abbraccio ed entra nell'appartamento tirandomi dietro a sé, mentre io continuo a chiedere perdono.
“Scusami se sono una cretina”
“Oddio, non che dentro cambi più di tanto? Non hanno ancora fatto aggiustare i riscaldamenti?” domanda un po' imbronciato.
“Non dovevi venire”
“E allora perché mi avete chiamato, Vostra Maestà?” il suo sguardo si addolcisce mentre mi trascina in sala e io sembro aver dimenticato come camminare.
“Perché Meg non c'è, è uscita con Melanie e non so dove sono andate, non ho neanche il numero di casa sua. E comunque anche se ce l'avessi non avrei chiamato, ultimamente è piuttosto giù, non voglio rovinarle una bella serata”
“Hai fatto bene, la mia serata era rovinabilissima invece” commenta mentre scorre con le dita tra le riviste sul tavolino e ne sceglie una, non so per quale ragione.
“Oddio, scusa Eddie, mi dispiace tanto!”
“Ahah ma guarda che non ero ironico, era una serata noiosamente inutile, neanche la partita le ha dato un senso, ci volevi tu”
“Hai visto che merda! Come cazzo si fa a farsi rimontare tutti quei punti alla fine?? Io non lo so”
“L'hai guardata anche tu allora, donna che è solo superficialmente interessata al basket?”
“L'ho vista di sfuggita, per distrarmi. E per sapere quando sarebbe finita, così avrei potuto chiamarti”
“Potevi chiamarmi anche prima, stupida, puoi chiamarmi quando vuoi”
“Dubito che Jeff sia dello stesso avviso. A proposito, non gliel'hai detto vero? Gli ho già dato abbastanza ragioni per prendermi per il culo per due vite, non mi sembra il caso di aggiungere altro materiale”
“Non gli ho detto nulla, tranquilla, nemmeno che venivo qui”
“Grazie”
“Di nulla...” mi circonda le spalle con un braccio e fa scontrare delicatamente e senza un motivo le nostre tempie, per poi prendere a studiare il mio viso da vicino con quegli occhi penetranti, probabilmente si sta chiedendo se per caso sono morta e non lo so “Andiamo subito al sodo, che dici?”
“Eh?”
“Dov'è il mostro?”
“Ah! E' di là, in bagno” indico il corridoio con l'indice e lui fa per andarci subito.
“Aspetta! Non ucciderlo, mi raccomando”
“Sì, lo so, tranquilla”
“Cioè, solo se è strettamente necessario, ma se non lo fai è meglio”
“Va bene”
“E se usi il giornale per prendere il ragno, poi buttalo”
“Addirittura?”
“Non fare domande, esegui e basta. Ehm ehm, per favore?”
“D'accordo, mia regina”
Il tutto dura due minuti di orologio, dopodiché sento il rumore dello sciacquone, poi quello della porta del bagno e vedo Eddie comparire di nuovo in soggiorno.
“L'hai ucciso?!”
“No”
“Non mentire, ho sentito che hai tirato l'acqua...”
“Ah quello! No, ne ho approfittato per andare in bagno, sai com'è”
“Allora è vivo?”
“Presumo di sì”
“Come presumi??”
“Non so, io l'ho accompagnato fuori dalla finestra, poi non so cosa ne è stato di lui”
“O lei”
“O lei eheh, già. Non so che ha fatto dopo, io l'ho liberato, ora deve camminare sulle sue gambe. Tutte e otto”
“Brrrrr non farmi pensare alle sue zampe!”
“Comunque se non ho visto male è finito su un davanzale del secondo piano”
“L'infermiera che ci odia! Questo è karma, Meg sarebbe fiera di te”
“E tu? Sei fiera di me?” domanda avvicinandosi e afferrando un capo della cintura della mia vestaglia con le dita.
“Sì, moltissimo, grazie!” gli do una pacca sulla spalla, dopodiché corro in direzione del bagno “Scusa se ti pianto qui da solo, ma devo fare quello che avrei voluto fare un paio d'ore fa”
“Ahahah vai tranquilla!”
Al ritorno dal bagno, trovo Eddie stravaccato sul divano, intento a sfogliare la rivista di prima. Non saprò mai se l'ha usata o meno per accompagnare fuori l'ospite indesiderato e non ho intenzione di chiederglielo.
“Grazie mille Eddie, sei stato un vero amico. Ora puoi andare”
“Mi stai mandando via?” risponde alzando lo sguardo dal giornale facendo il faccino triste.
“Cos... no, ovviamente no! E' che... beh, sono piena di microbi e tu hai un concerto domani, nonché un tour nelle prossime settimane, il primo vero tour con la band, non posso permettermi di farti ammalare”
“Nah, non mi ammalo mica per così poco”
“Ti sei ammalato dopo un giorno che eri a Seattle”
“Dov'è finito il televisore? L'hai lanciato al ragno per eliminarlo ed è finito anch'esso fuori dalla finestra?”
“Scherzi? Col rischio di mancarlo e farlo incazzare aizzandolo ancora di più contro di me? Non lo avrei mai fatto. Comunque la tv è in camera mia, l'abbiamo spostata lì perché è quello il luogo dove vegeto da un paio di giorni a questa parte”
“Hai la febbre? Fa' sentire” Eddie si alza dal divano e mi mette una mano sulla fronte, dopodiché appoggia l'altra sulla sua, con lo sguardo pensieroso rivolto chissà dove. A un certo punto tira giù entrambe le mani e le posiziona sulle mie spalle, mentre accosta una delle sue guanciotte alla mia fronte. La cosa in sé mi fa sorridere, perché è lo stesso metodo che usava mio padre per misurarmi la febbre quando stavo male e mamma non c'era, anziché mettersi a cercare il termometro, che tanto non avrebbe trovato perché mio padre non trova mai niente, non sa nulla di cosa ci sia in casa e dove sia esattamente, le uniche stanze che conosce a menadito sono la camera oscura e quella delle chitarre, ha problemi anche a rintracciare oggetti nel suo stesso studio. Tuttavia il mio sorriso è solo mentale, all'esterno sono un rigido pezzo di legno che non sa bene che fare, visto che è Eddie quello che sta strofinando la sua pelle contro la mia.
“Quindi le tue armi hanno anche funzione di termometro?”
“Ahahah a volte”
“E che dicono?”
“Che avrai ancora qualche lineetta, devi stare al caldo. Impresa ardua in questa specie di frigorifero”
“Era proprio quello il mio piano. Me ne torno a letto a guardare per l'ennesima volta Essi vivono finché non crollo vittima del paracetamolo”
“Essi vivono? Mai visto”
“Che?! Come puoi non averlo visto, è un filmone!” esclamo sconcertata, perdendo probabilmente quel po' di voce che mi restava, mentre lui reagisce facendo spallucce.
“Di che parla?”
“Alieni e occhiali da sole”
“Mi stai prendendo per il culo?”
“No, e il protagonista è un wrestler”
“Ok, mi stai prendendo per il culo”
“Ahahah no, è la pura verità, è un bellissimo film”
“Ho capito, è uno di quei film talmente brutti e trash che fanno il giro e diventano belli”
“No no, ti giuro, è un film bello sul serio, è un film di fantascienza, ma anche un horror, e con un bel po' di commedia che non ci sta male. E ha anche un messaggio socio-politico non indifferente”
“Una commedia horror fantascientifica impegnata?”
“Esattamente! Ti ho mai detto che adoro il tuo dono della sintesi?”
“No, non mi pare. Ed è una gran bella sensazione, dimmele più spesso cose del genere”
“Dai, adesso devi guardarlo per forza, vieni” faccio per prenderlo per un braccio, ma non sembra intenzionato a muoversi.
“Ma forse tu volevi stare tranquilla da sola... non stai bene”
“Appunto, non sto bene, mi fai compagnia, su!”
“E se mi ammalo?”
“Ci penserà Stone a imbottirti di farmaci e farti alzare il culo, non ti preoccupare” ribadisco strattonandolo più forte e riuscendo finalmente a farmi seguire nella mia stanza.
“E' di Mapplethorpe?” Eddie è seduto sul mio letto mentre io armeggio con il videoregistratore e sembra interessato a tutto tranne che a quello che sto facendo.
“No, è di una fotografa che si chiama Judy Linn” spiego riferendomi alla foto di Patti Smith che campeggia sulla porta.
“E' molto bella, mi piace il suo sguardo, e i guanti bianchi. E la videocamera che sta reggendo, mi piace il modo in cui l'obiettivo, beh, è come se uscisse dalla foto, come se andasse oltre” Eddie elenca praticamente ogni singolo dettaglio che io stessa amo di quello scatto.
“Mi piace un sacco quella foto. Allora sei pronto? Pronto a mettere gli occhiali da sole e scoprire la verità?” una volta finito di riavvolgere la cassetta, la faccio ripartire e mi siedo sul letto accanto a Eddie, sistemandomi il cuscino dietro la schiena.
“Non ancora, prima volevo sapere come sono andati gli esami” Eddie mi guarda e sorride mentre tocca a sua insaputa il tasto più dolente.
“Credo che il film sia già abbastanza spaventoso di suo, non aggiungiamo altro orrore”
“Eheheh dai, non dire cazzate, sarà andata benissimo”
“E invece no, non è andata affatto benissimo, è andata male,” confesso sospirando “peggio di quanto pensassi”
“Addirittura? Non li hai passati?”
“Ma no, li ho passati tutti”
“Allora lo vedi che dici cazzate, sono andati benone!”
“Ok, ma non basta passare. Li ho passati praticamente tutti con poco più della sufficienza, Letteratura comparata proprio per un pelo, quasi col minimo, quello che mi è andato meglio è stato l'esame di Tedesco, dove comunque non ho preso un voto esagerato” spiego mentre sullo schermo scorre l'elenco dei divieti di riproduzione e copia pirata del film.
“Ach so”
“Ho creato un mostro” nascondo a fatica il mezzo sorriso che è riuscito a strapparmi.
“Eheh dai, è normale, almeno penso lo sia. Sai, in un attimo di follia avevo deciso di tentare una carriera universitaria a San Diego, ma dopo il primo trimestre ho mollato, quindi il mio giudizio in proposito non è autorevole. Diciamo che il passaggio dal liceo all'università è sempre difficile e i primi esami sono un po' un'incognita perché non sai cosa ti aspetta, ti servono più che altro per orientarti”
“Per il momento mi sono serviti per capire che sono una capra”
“Non dire così, una capra non li avrebbe mai passati quegli esami, se non altro per la difficoltà di impugnare una penna con gli zoccoli”
“Se non li avessi passati mi sarei ritirata un minuto dopo averlo saputo”
“Perché? Ad Angie Pacifico non è permesso sbagliare?” scherza, ma non so fino a che punto, visto che ci ha preso in pieno.
“No. Non fraintendermi, io non sono mai stata una secchiona, diciamo che ho buona memoria e me la so cavare con le parole, aggiungici un po' di studio e mi è sempre andata bene. Ma qui è diverso, non sono al liceo, sono all'università, un'università che ho scelto io, che pago fior di soldi, non faccio materie che mi vengono imposte di cui non me ne frega niente, sono argomenti che mi interessano, è la mia passione, quello di cui vorrei occuparmi lavorativamente parlando, il mio sogno. Mi aspetto di eccellere in tutto, non di arrancare anche solo per passare”
“Il fatto di essere appassionati di una materia non la rende automaticamente facile, Angie”
“Quindi se tu frequentassi... boh, l'Università del rock e prendessi una sufficienza risicata all'esame sugli Who saresti comunque fiero di te stesso?”
“Oddio, dov'è l'Università del rock? Voglio andarci!”
“E' facile, giusto accanto alla Rock'n'roll High School” ribatto sorniona.
“Senti, ok, capisco che tu sia un po' delusa, magari devi solo inquadrare meglio il metodo, insomma, come devi studiare, perché sul quanto non mi pare ci siano pecche da parte tua”
“Infatti, quello è uno dei problemi fondamentali. Sono sempre stata abituata a studiare in maniera diversa, prendere appunti, memorizzare i concetti chiave, trattare in maniera più approfondita i temi su cui insiste il professore durante la spiegazione e fare in maniera più veloce il resto, invece qui è tutto diverso. Per l'esame che è andato peggio, ad esempio, ho cannato in pieno cosa studiare, ho studiato un mare di roba inutile e saltato a pié pari cose che invece si sono rivelate importanti”
“Beh, direi che hai ben chiara la situazione. Insomma, hai capito dove hai sbagliato, no? I prossimi andranno meglio, non ti coglieranno impreparata”
“Stavo pensando di rifiutare il voto di quell'esame e ridarlo la prossima sessione”
“Cosa? E perché?”
“Per cercare di tirare su la media e per non dare al professore l'idea che io sia una fancazzista che si accontenta di galleggiare, una cazzona che ha scelto la scuola di cinema perché non ha voglia di studiare. Non voglio pensi che non ho fatto nulla per mesi, perché questo è ciò che viene fuori da quell'esame, è così che sembra, ma non è la realtà. Quell'esame e quel voto non mi rappresentano, voglio dimostrare chi sono veramente”
“Wow, beh, mi piace questo slancio di orgoglio da parte tua, una volta tanto”
“Grazie!”
“Peccato venga fuori nel momento sbagliato, perché in questo caso faresti una grandissima cazzata, scusa se te lo dico”
“Perché?” chiedo perplessa dopo che mi ha smontata in due secondi. Onestamente non è il tipo di reazione che mi aspettavo, stanno sempre tutti a menarla sulla mia scarsa autostima e fiducia in me stessa e nelle mie capacità, per una volta che penso sinceramente di meritare di meglio speravo in un po' più di supporto, specialmente da parte di Eddie.
“Perché alla prossima sessione avrai altri esami, no?”
“Beh, sì...”
“Quindi non solo dovresti studiare per quelli, e dovresti studiare bene per alzare la media, come dici tu, ma ti troveresti il vecchio esame ancora sul groppone, che significa altra roba da studiare. E' facile immaginare come finirebbe, o ti concentreresti sul vecchio esame tralasciando gli altri o faresti un esame tale e quale al primo, faticando anche con gli altri perché non hai avuto abbastanza tempo per studiare tutto”
“Beh...”
“E poi, chi ti dice che andrebbe meglio una seconda volta? Che accadrebbe se per disgrazia non lo passassi o ottenessi un voto inferiore?”
“Senza dubbio, opterei per seguire la sorte del ragno, ma senza aggrapparmi al davanzale del secondo piano”
“A me sembra che tu voglia ridare l'esame essenzialmente per una questione di brutta figura, non tanto per te stessa, ma piuttosto per gli altri, i professori, i tuoi genitori, chi lo sa, magari anche per noi cazzo, perché tutti noi ti vediamo come una ragazza studiosa. Voglio dire, che cazzo te ne frega di cosa pensano gli altri e tantomeno i professori? Che poi, quasi sicuramente non pensano nulla. Puoi rifarti coi prossimi esami, perché devi andare a incasinarti di più col rischio di toppare sia l'uno che gli altri?”
“Forse hai ragione”
“Certo che ho ragione. Sei troppo severa con te stessa, dovresti apprezzare di più quello che hai ottenuto, anziché avvilirti per quello che hai sbagliato. Cazzo, studi e lavori sodo, ti mantieni e ti paghi l'università a quanto ho capito”
“Per metà, l'altra metà la pagano i miei. E' anche per loro che avrei voluto fare di più, comunque c'è un loro investimento dietro, e non solo economico”
“Beh, fai tutte queste cose e hai perfino una vita sociale e ciononostante hai passato tutti gli esami. Ora, io non conosco tua madre, ma ho avuto l'occasione di conoscere Ray e non mi dà l'idea di uno che disconosce la figlia perché non ha il massimo dei voti. Credo sia orgoglioso di te a priori, o sbaglio?”
“Già...” non sbagli affatto, probabilmente sarebbe orgoglioso di me anche se rapinassi banche, è proprio per quello che la sua opinione non fa testo.
“Sinceramente, pensaci bene prima di prendere decisioni di questo tipo, non voglio fare il saggio della situazione e ti assicuro che a sentirmi parlare così un po' sto spaventando me stesso, ma in questo caso si può dire che ne va del tuo futuro. Fossi in te io accetterei questi voti e direi 'ok, abbiamo scherzato fin qui, adesso facciamo sul serio'. Che ne dici?”
“Effettivamente Letteratura comparata sono tre libri da studiare più la dispensa e tutte le schede, nonché i film da vedere. E' un bel mattone e non posso neanche dire, va beh, un po' l'ho già studiata, perché la dovrei praticamente ristudiare da capo”
“Appunto. Quindi?”
“Quindi devo prendere quei voti del cazzo, portarmeli a casa e stare zitta, vero?”
“Credo sia la cosa più saggia da fare”
“Mi sa di sì... Però non posso fare a meno di essere delusa”
“La delusione ti spingerà a fare meglio al prossimo giro”
“Al momento mi sta solo spingendo sempre più lontano da una qualsiasi borsa di studio. Ne dovrò servire di hamburger per continuare a studiare!”
“Allora, lo vediamo o no questo capolavoro della cinematografia?”
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“Meg, devo confessarti una cosa”
“Mmm ok”
“Mi vergogno come una ladra, però devo dirtelo per forza”
“E devi dirmelo per forza qui sul pianerottolo”
“Oh... eheheh no, scusa, entriamo prima” i ricci di Melanie vengono scossi dalla sua risata sommessa mentre infila la chiave nella toppa e apre la porta del suo appartamento. Sono le quattro e mezza del mattino e dopo una nottata passata esclusivamente a bere e ballare, accetto volentieri l'invito a casa sua per un caffè di ripiglio. Chissà se mi concederebbe anche il suo divano se glielo chiedessi. Giusto per qualche ora, onde evitare di irrompere in casa mia e svegliare la coinquilina già malaticcia all'alba. Chissà se sta un po' meglio, almeno abbastanza da poter venire all'Off Ramp... che poi, io non so neanche se ci vado. Voglio dire, lo so che ci devo andare e alla fine ci andrò, ma con che faccia guarderò Mike dopo il suo discorso?
L'appartamento di Melanie è esattamente come te lo aspetti conoscendola: arredamento semplice, ma elegante, divanetto e poltrone in pelle, televisore ultimo modello, idem per lo stereo, fotografie in bianco e nero di moda alle pareti, lampade di design, trionfo dei colori pastello.
“Allora, che mi devi dire di così tragico? Non mi dire che quando mi sono allontanata ti sei fatta l'avvocato viscido” le chiedo riferendomi a uno dei falliti che ha tentato di abbordarci nel locale.
“Che? Sei pazza, no! Per carità!” si difende lei schifata, mentre si avvicina con due tazzone bollenti di caffè e me ne porge una, prima di sedersi accanto a me sul divano.
“E allora cos'è successo?”
“Non so come dirtelo”
“Prova con parole tue”
“Ieri sono andata da Mike”
“Oh mio dio! Non credevo l'avresti fatto davvero, gli hai davvero rigato la macchina?? Pensavo lo dicessi tanto per sfogarti. Che insulto gli hai scritto?”
“No, era giusto uno sfogo infatti, non ho fatto niente, nessun atto vandalico”
“Che hai combinato allora al poveretto?” chiedo cercando di nascondere con un ghigno il mio imbarazzo nel parlare di lui.
“Beh ecco io...”
“E' così tremendo?”
“Dipende dai punti di vista: gli ho detto che potevamo tornare assieme” risponde lei innocentemente e se non sputo caffè su questo cazzo di divano azzurro di merda è solo perché nel momento in cui me lo dice ho già mandato giù il sorso.
“Prego?”
“Sì, insomma, gli ho detto che lo perdonavo e che forse avevo un po' esagerato... non guardarmi così, lo so cosa stai pensando”
“Non credo proprio, te lo assicuro”
“Che sono un'incoerente del cazzo, dato che fino all'altro giorno sputavo merda su Mike e non perdevo occasione per inviargli maledizioni varie”
“Beh, effettivamente”
“E' che mi sono accorta che stavo ingigantendo la cosa in una maniera esagerata, perché alla fine Mike avrà un sacco di difetti, ma non ha fatto nulla di grave, voglio dire, parlando con te ho capito che non c'è stato più niente tra voi da quando avete smesso di frequentarvi, e allora che mi incazzo a fare? Per cosa? Perché ha omesso di parlarmi della vostra storia precedente? Se l'ha fatto è anche perché so essere rompicoglioni come poche, voleva evitare che piantassi un casino per niente, cosa che poi inevitabilmente ho finito per fare”
“Però hai anche ribadito più volte, citando decine di aneddoti, che le cose non andavano granché bene già da prima... o sbaglio?”
“Sì, ma alla fine la colpa non sta mai da una parte sola in una coppia, non credi? Chiaramente lui si stava allontanando da me, e su questo non ci piove, ma io ho sbagliato perché avrei dovuto cercare di capire i motivi per affrontarli, anziché approfittare del suo primo passo falso per scaricarlo. Sembra quasi che non aspettassi altro che una scusa per mollarlo, ma in realtà non è così, io ci tenevo a lui. Ci tengo tuttora” continua lei mentre sprofondo sempre di più nel divano stritolando l'angolo di uno dei cuscini tra le dita senza farmi vedere.
“Ok, e allora? Ti vergogni perché sei tornata con Mike dopo averne parlato male con me? Mica ti devi vergognare, non mi devi nessuna spiegazione, alla fine devi fare quello che ti senti, se avete fatto pace buon per voi”
“Non abbiamo fatto pace. E non sono tornata con lui” sono le parole magiche che salvano il cuscino dalla distruzione totale.
“Come no? Ma se hai appena detto-”
“Ho detto che gliel'ho chiesto, ma lui ha detto di no, non ne ha la minima intenzione. Capisci, non ne vuole più sapere di tornare con me! Gli sono stata così addosso che l'ho allontanato definitivamente. Brava Melanie, complimenti!” appoggia la tazza colma del caffè che non ha praticamente ancora toccato sul tavolino accanto al divano e si fa un applauso ironico da sola.
“E perché? Cioè, che ti ha detto di preciso? E' arrabbiato o cosa?” cerco di estorcerle qualche informazione in più, chissà che a Melanie non abbia dato una spiegazione più specifica di devo capire cosa voglio.
“Penso di sì, ma lui ha detto che ha bisogno di chiarirsi le idee, che non sa cosa prova per me, che deve capire... Che cazzo deve capire? Fino a qualche giorno fa mi amava, abbiamo litigato, ora il motivo del litigio è rientrato, dovrebbe tornare tutto come prima, no? E invece no! E perché no? Non lo so, non capisco. Davvero, non ci capisco più nulla, so solo che ho fatto un gran casino per niente, perché ci stavo bene con Mike”
“Prima non dicevi proprio così però”
“Lo so! Te l'ho già detto, sapevo che mi avresti presa per una malata di mente, ma davvero non so che mi prende. La rabbia è svanita di colpo, ora mi sembra di vedere tutto più chiaramente. Hai presente quando la sera non riesci a dormire dopo aver visto un film horror perché sei preda delle paranoie più assurde e poi la mattina dopo ridi di te stessa e le cose che ti facevano paura ti sembrano tutte cazzate?”
“Ah io non ho quel problema, ho Angie. Ci pensa lei a distruggermi tutta la poesia, o meglio, in questo caso lo spavento, raccontandomi decide di dettagli insignificanti su effetti speciali e dietro le quinte di ogni cazzo di film. Poi fa dei commenti a caldo da farti ribaltare, è riuscita a farmi ridere con L'Esorcista, ti ho detto tutto” cambio argomento anche perché mi sento stranamente più rilassata. Stranamente perché, in fondo, per quanto mi riguarda non cambia niente, Mike non ha fatto altro che ripetere anche a Melanie quello che aveva già detto a me per telefono. Sarà che alla fine mal comune, mezzo gaudio vale sempre e sapere che sia io che quest'altra disgraziata siamo sulla stessa barca mi fa sentire meno di merda. Però da qui a gioire della disgrazia condivisa ce ne corre, ecco perché mi sento deficiente a mandar giù sorsate di caffè senza soluzione di continuità per nascondere dietro la tazza il sorrisetto involontario che continua a stamparmisi in faccia.
“Voglio dire, non era una relazione perfetta, ma chi ce l'ha la relazione perfetta? Nessuno. Ma finché c'ero dentro potevamo sistemarla questa storia, adesso che cavolo sistemo? Un bel cazzo di niente” le mie serate film con Angie non bastano a distrarla e la sua mente non si schioda da Mike. La mia invece si è limitata ad archiviarlo nuovamente come single e a richiudere lo schedario con un allegro colpo d'anca.
Sono le cinque passate quando mi congedo da Melanie e mi rimetto in macchina per tornare a casa. Non mi ero accorta quanto mi mancasse avere un auto finché non ne ho avuta di nuovo una. In questa occasione specifica, ad esempio, senza macchina mi sarei ridotta a chiedere a Melanie di poter chiamare un taxi, al che lei mi avrebbe detto che sarei potuta rimanere a casa sua a dormire. Che poi era il mio piano originario, almeno fino a quando l'idea di dormire da lei non si è concretamente trasformata nella possibilità di rimanere lì a sorbirmi ore di paturnie su Mike e su come abbia lei potuto mandare a puttane la loro fantastica e promettente storia d'amore. Invece ho la mia amata Black Ghost, soprannome affibbiato da Angie sia a questa che all'auto che l'ha preceduta, come semicitazione della macchina di Baretta, e la libertà di andarmene via da qualsiasi luogo e situazione quando e come cazzo mi pare, senza dover dipendere da nessun altro. E sarebbe davvero figo avere questo tipo di libertà anche nella vita sociale, poter decidere di andarmene quando voglio, non quando gli altri decidono che è arrivato il momento di cancellarmi dalla loro esistenza; di chiudere una storia perché ho davvero deciso che non ne voglio più sapere e non perché l'altra persona non si decide; di mettere fine a un inciucio segreto perché non ha senso e sarebbe solo fonte di guai, non perché il lui di turno si pente e vuole evitare casini. Ma poi la saprei sfruttare nel modo giusto questa libertà? Sto sempre lì a lamentarmi, a struggermi, per capire cosa vogliono gli uomini, ma io lo so cosa voglio? La voglio davvero una storia seria? Che sentimenti provo per Mike? E per Matt? Andrà a finire che, tra tutti, forse l'unico che ha davvero le idee chiare è proprio l'insospettabile McCready.
Apro la porta di casa cercando di fare il minor rumore possibile e per lo stesso motivo scendo dai miei trampoli ed entro nell'appartamento scalza e con le scarpe in mano. Accendo la piccola lampada in corridoio, giusto il tempo di arrivare alla mia stanza, dove accendo la luce, dopodiché torno indietro a spegnere il lume. Mi cambio per la notte (beh, notte... mattina ormai) molto velocemente, onde evitare di trasformarmi in un surgelato con questo cazzo di freddo, e scappo in bagno a struccarmi. Prima di infilarmi definitivamente nella mia stanza decido di dare un'occhiata alla mia amica malata, per nessun motivo in particolare, giusto per vedere se è tutto ok, se è sveglia, se si è di nuovo addormentata con la tele accesa o se sta dormendo con la bocca aperta ed è il caso di prendere una macchina fotografica. Mi avvicino in punta di piedi alla sua camera, apro pianissimo la porta e la scena che mi si presenta davanti richiederebbe effettivamente l'impiego immediato di una macchina fotografica, ma non so se più per immortalare la scena in sé o la faccia che devo avere io nel momento in cui vedo Angie a letto con Eddie. Che poi non è proprio così, nel senso, io vedo Eddie, Angie la intuisco, non la vedo, almeno non subito. Eddie è sotto le coperte, sdraiato sul fianco sinistro e rivolge verso la porta, e quindi verso di me, l'espressione più serena e soddisfatta che io abbia mai visto stampata sul viso di uno che dorme. Solo a una più attenta osservazione mi accorgo del braccio che gli cinge la vita da dietro e della mano che stringe nella sua nel sonno. Inconsciamente, senza rendermene propriamente conto, avanzo di qualche passo per vedere meglio, più per incredulità che per curiosità morbosa, e non posso che constatare che è la piccola bugiarda a dormire con la faccia affondata tra i riccioli di Eddie. A questo punto realizzo che cazzo sto facendo, qui impalata al centro della stanza a spiare due che dormono assieme, raccolgo la la mia mandibola caduta a terra e indietreggio velocemente verso la porta, che praticamente richiudo sbattendola senza pensarci, tanto quella stronzetta di Angie ha il sonno pesante.
Quando apro gli occhi qualche ora dopo, verso le 11 circa, Eddie è ancora qui, lo so perché sento la sua voce dal corridoio, e ci vuole tutta la mia forza di volontà per impedirmi di uscire dalla mia camera in pompa magna e coglierli in flagrante mentre amoreggiano come due colombi. Faccio la brava, non voglio commettere gli stessi errori e irrompere a passo di elefante nella vita privata sentimentale di Angie anche questa volta, aspetto di sentire un Ciao, a stasera e il rumore della porta del nostro appartamento che si apre e si chiude. Esco di soppiatto e corro in cucina, ma probabilmente lo faccio con passo veramente felpato perché quando Angie scorge la mia sagoma appoggiata al tavolo ha più o meno un mezzo infarto.
“CRISTO SANTO, MEG!” le sue imprecazioni stonano un po' col vestaglione rosa a cuoricini e il pigiama coi ricci. E la mise stona pure col resto, diciamocelo, non è l'abbigliamento più consono per farsi travolgere dalla passione.
“Oh buongiorno Angie”
“Quando ti sei alzata? Mi hai spaventata a morte!”
“Come vedi, non sei l'unica campionessa in questo sport”
“Eheh vedo, l'allieva ha superato la maestra” commenta ridendo. Ma che ti ridi? Adesso ti sistemo io.
“Come stai? Ti vedo decisamente meglio stamattina”
“Sì, va meglio, non ho più la febbre... credo... e anche la tosse va meglio”
“Eh sì, certe medicine fanno miracoli...” osservo catturando una banana dal cesto alle mie spalle sul tavolo.
“Quelle bustine che mi hanno dato in farmacia sono una bomba, devo ricordarmi di non buttare la scatola”
“Oh beh, certo, anche quelle”
“Tu? Com'è andata la serata?” che carina, fa la gnorri.
“Bene. Melanie ha provato a tornare con Mike e lui l'ha rimbalzata alla grande” le spiattello tutto velocemente, in modo da sbrigare subito la pratica e poterci poi dedicare all'argomento più succulento del giorno.
“Cosa?! Ma... lì, con te presente?” chiede allibita mentre io sbuccio il frutto con tutta calma.
“Nah, un'altra sera. Comunque niente di che, me l'ha raccontato e io ho fatto la finta tonta”
“Capisco... cavolo, che situazione”
“Alla fine ha detto anche a lei che vuole tempo per capire, quindi i casi sono due: o è la storia che ha deciso di rifilare a tutte quelle di cui si è rotto le palle o è la verità”
“Credo sia la verità, Meg. Alla fine è-”
“Sì sì, lo so anch'io. Ma non è di questo che volevo parlare con te”
“Uhm ok, che volevi dirmi?” chiede un po' spiazzata.
“Io niente. Tu? Non hai niente da dire?”
“Io? In che senso?”
“Non c'è niente che mi devi dire? Nulla di nuovo da raccontare?” la incalzo prima di addentare la banana.
“No, perché?”
“Non so, vedi tu”
“La smetti di parlare per allusioni? Cosa c'è? Che è successo?”
“A me niente, a te invece le cose da dire non mancherebbero... se solo volessi”
“Non penserai ancora che mi drogo, vero?”
“Ahahah no, mi riferisco a un altro tipo di dipendenza”
“Di che cazzo stai parlando?”
“Dipendenza da maschietti! Cazzo, Angie, non ti facevo così mangiatrice di uomini. Prima Jerry, poi Dave e adesso...”
“Adesso chi? Che cosa?”
“Mah non saprei, magari qualcuno che casualmente si è fermato a dormire qui stanotte, che dici?”
“Ma chi? Eddie?”
“AH ECCO! ALLORA NON ME LO SONO SOGNATO!”
“Ha dormito qui, e allora?” Angie fa spallucce, anche se un po' intimorita dal mio tono di voce.
“E allora? E allora dimmelo tu”
“E allora niente, è passato a trovarmi e ci siamo addormentati davanti alla tv, visto che si è fatto un po' tardi gli ho detto che poteva dormire qui”
“Qui? Proprio qui?” domando ironica, indicando il pavimento e il tavolo”
“Ahah va beh, come sei letterale. Ha dormito sul divano ovviamente”
“Sul divano?”
“B-beh, sì. Perché?”
“Strano, non l'ho visto quando sono rientrata”
“Ma tu a che ora sei tornata?”
“Un po' dopo le cinque”
“Eh beh, per forza non l'hai visto, eheh, a quell'ora ronfavamo davanti alla tv. Ci saremo svegliati alle, boh, sei meno un quarto, gli ho detto che poteva dormire qualche ora sul divano se voleva”
“Sei meno un quarto?”
“Sì”
“Sei meno un quarto me lo chiami un po' tardi?”
“Beh sì, nel senso che è talmente tardi che è praticamente presto”
“Angie, si capisce che non sei ancora guarita del tutto, di solito menti meglio di così” osservo finendo la banana e buttando la buccia nella spazzatura, per poi tornare al posto di prima.
“Che dici, io non sto ment-”
“Sì, invece, lo so che Eddie ha dormito con te, quindi taglia corto con le stronzate e comincia a raccontare” incrocio le braccia e godo sapendo che la mia vittima sta per capitolare.
“Ma che ne sai, non è vero!”
“Vi ho visti, quindi è inutile che cerchi di arrampicarti sugli specchi”
“CHE COSA?”
“Prima di andare a letto ho sbirciato in camera tua per vedere se stavi bene, se avevi bisogno di qualcosa”
“MEG!”
“E ho visto che no, non avevi bisogno di nient'altro, avevi già tutto quello che ti serviva” accompagno il commento con un occhiolino, che ovviamente per lei peggiora la situazione.
“Oddio, guarda che eheh non è come pensi”
“E allora dimmi com'è, avanti, sono tutta orecchi”
“Ci siamo addormentati davanti alla tv e-”
“Ancora con questa cazzata”
“No, è la verità! Abbiamo visto un film, poi lui ha iniziato a fare zapping e siamo finiti su quelle cazzo di telepromozioni che gli piacciono tanto. Tra i residui di febbre e la sonnolenza da medicinali, sono crollata tempo zero”
“Seh, va beh, e vi siete risvegliati alle sei meno un quarto”
“No, molto prima, verso le due e mezza”
“Questo mi sembra già un pochino più credibile. Poi?”
“Eddie mi ha svegliata, beh, ci ha provato”
“Spero abbia aspettato che fossi sveglia prima di provarci” lo so, sono una stronza.
“Piantala Meg! Intendevo che ha provato a svegliarmi, io mi ricordo a malapena, ero nel dormiveglia, ho dei vaghi ricordi di lui che mi dice che è tardissimo e che va via e io che gli propongo di fermarsi a dormire qui vista l'ora, era anche senza macchina”
“E a quanto pare Eddie è un altro che prende tutto alla lettera, visto che si è infilato sotto le tue lenzuola”
“Mentre ero mezza addormentata mi pare mi abbia chiesto una coperta per sistemarsi sul divano e io devo avergli detto qualcosa del tipo che poteva dormire anche lì, che tanto il letto era grande, o una cosa del genere”
“E brava Angie! Questa era geniale, mi sa che da addormentata sei più sveglia che di solito”
“E basta, è finita lì, non è successo niente”
Non così sveglia a quanto pare.
“Come niente?”
“Niente! Abbiamo dormito, poi si è svegliato, mi ha salutato e se n'è andato, cinque minuti fa”
“Avete dormito”
“Certo!”
“E avete scopato prima di dormire o dopo?”
“MEG MCDONALD!”
“O tutt'e due?”
“Né prima né dopo, io e Eddie non abbiamo fatto... quello!”
“Oddio, non riesci nemmeno a dire scopare e Eddie nella stessa frase, allora ti piace sul serio!”
“No, l'accostamento è semplicemente troppo ridicolo per poter essere pronunciato”
“Ridicolo, eccome, da ammazzarsi dalle risate proprio”
“Risate o no, non c'è stato niente, chiaro?”
“Sei seria?”
“Serissima, abbiamo dormito e stop”
“Beh... però da com'eravate messi sembrava tutt'altro” sferro il mio secondo attacco senza aspettare che si riprenda totalmente dal primo.
“Che vuoi dire? Perché? Com'eravamo messi?”
“Vicini, per dirla con un eufemismo”
“Il mio letto ha due piazze, non quarantacinque, è normale essere vicini”
“Sì però voi occupavate la stessa piazza in due”
“Ahahah che cosa?”
“Eravate teneramente accoccolati uno sull'altro, non fare la finta tonta”
“Te lo stai inventando” Angie cerca di mantenere una certa compostezza mentre mi guarda spalancando gli occhi.
“Lo giuro su quello che vuoi: dormivate abbracciati”
“Esagerata, magari si sarà girato dalla mia parte nel sonno e-”
“No no, Eddie era per i fatti suoi, eri tu a invadere la sua metà del letto”
“COSA?!”
“Eravate così, tu sei Eddie e io sono te.” corro dietro di lei e l'afferro per i fianchi, tuffando il naso nei suoi capelli mentre ridacchio “Gli respiravi direttamente nell'orecchio”
“CAZZATE”
“Te lo giuro sulla mia macchina nuova” lei si volta e io mi allungo per guardarla negli occhi e vedo il momento stesso in cui il terrore si impossessa di lei.
“Oh merda”
“Eravate carini”
“OH MERDA” urla dirigendosi in sala.
“Deduco che non vi siate svegliati così stamattina” la seguo fino al divano, dove si lascia cadere mollemente.
“Quando mi sono svegliata Eddie era già in piedi”
“Allora solo lui si è svegliato tra le tue braccia, forse”
“OH MERDA!” Angie si copre la faccia con un cuscino del divano.
“Dai, ho detto forse! Magari poi dormendo l'hai liberato”
“Sono una cazzo di molestatrice” borbotta lei da dietro il cuscino.
“Dai, non esagerare, non hai fatto niente di male”
“No, infatti, che male c'è ad avvinghiarsi a una persona che dorme? Perché è un ragazzo, cosa diresti se fosse stato il contrario invece? Se un uomo palpeggia una donna nel sonno non è un maniaco? Cosa sono questi, due pesi e due misure?”
“Allora punto primo, non l'hai palpeggiato, l'hai abbracciato; punto secondo, dormivi anche tu, quindi non l'hai fatto apposta”
“Ok, ma povero Eddie comunque”
“Oh sì, povero Eddie... aveva una faccia... si vedeva proprio che era dispiaciutissimo di stare tra le tue braccia!”
“Ma che cazzo c'entra, dormiva! Mica sapeva dove stava. Magari stava facendo un bel sogno, che so, magari sognava la sua tavola da surf o gli Who al Kingdome” ribatte levandosi il cuscino dalla faccia e appoggiandoselo sulle ginocchia.
“O Angelina Pacifico che gli faceva i grattini sulla pancia”
“OH MERDA” Angie si butta in avanti in picchiata e riaffonda il viso nel cuscino.
“Ahahah dai, la fai più grave di quanto non sia”
“Se eravamo così quando si è svegliato, mi ammazzo”
“La fai molto grave, direi”
“Uff, questa cosa con Eddie mi sta sfuggendo di mano” Angie si alza, lascia cadere questa affermazione come il cuscino sul divano e se ne va in camera sua, sperando di chiuderla così.
“Questa cosa cosa?” le chiedo andandole dietro come un cagnolino.
“Cosa?”
“Cosa sarebbe questa cosa?”
“Di che cosa stai parlando?” se spera di farmi uscire di testa si sbaglia di grosso.
“Hai detto questa cosa con Eddie... Vuol dire che tra te e Eddie c'è qualcosa, no?”
“Io e Eddie siamo amici”
“Seh, come no”
“Amici... un po' speciali” ammette sedendosi sul suo letto, proprio dal lato dove stava Eddie fino a qualche ora fa.
“HA! Lo sapevo!”
“Ma non nel senso che intendi tu” Angie inizia a raccontare del patto di reciproco aiuto nei momenti di difficoltà imbarazzanti, delle loro conversazioni, della dolcezza di Eddie nei suoi confronti, delle confidenze e delle coccole davanti alla tv che lei chiama con un altro nome più complicato e meno realistico. Da un lato sono soddisfatta nell'apprendere che non mi sono sognata tutto e che il mio sesto senso ci ha azzeccato in pieno, dall'altro non posso fare a meno di sentirmi un po' triste perché, voglio dire, dov'ero io mentre succedeva tutto questo? Come ho fatto a non accorgermene prima? Il periodo in cui Angie era arrabbiata con me è ormai passato e archiviato, ma gli effetti di quella piccola lite si vedono tutt'ora, nella distanza creata dalle cose non dette, dai consigli non dati e non richiesti. La mia amica me ne sta parlando ora e va bene, anzi, benissimo, perché vuol dire che è tornata a fidarsi di me, ma resta il fatto che per un certo lasso di tempo, seppur breve, non ho fatto parte della sua vita, o almeno non abbastanza, e la cosa mi brucia un po'.
“Ok, allora, fammi capire: ti chiama solo per sentire la tua voce, ti fa le coccole, ti compra la cioccolata, ti salva dai ragni, ti porta a vedere le stelle... Diciamo che il senso che intendevo io era leggermente più porno e meno rosa, ma si avvicinava molto” commento restando ancora sulla porta.
“Quanto sei scema”
“No, la scema sei tu, tesoro. Non può essere semplicemente che gli piaci?”
“No”
“E perché no?” chiedo perplessa, aspettandomi il solito pippone sul suo essere un cesso e cagate simili.
“Perché me l'ha detto”
“Come te l'ha detto? In che senso?”
“Me l'ha detto, quanti sensi conosci?”
“Ti ha detto che non gli piaci?” la raggiungo sul letto incredula. Beh, se così fosse, sarebbe stato onesto da parte sua, ammettere di volerla solo come amico, senza prenderla in giro. Però non puoi dire una cosa e poi nei fatti andare nella direzione opposta.
“Non così, ma sì, me l'ha fatto capire” Angie ridimensiona la cosa e io tiro un sospiro di sollievo.
“Ah! Allora non te l'ha detto”
“Me l'ha fatto capire!”
“E come?”
“Beh, tanto per cominciare mi ha detto che gli mancava la sua ragazza”
“Gli mancava? Quando te l'ha detto?”
“Alla sua festa di compleanno”
“E' passato più di un mese, magari non gli manca più”
“Invece sì, anche se non parla più di lei, si capisce che ci sta ancora male, anzi, lo si capisce proprio perché non la nomina più”
“O magari non la nomina più perché gli interessa un'altra persona”
“Sì, infatti c'è un'altra ragazza: la tipa che si è inventato per scaricare Violet” risponde con un ghigno.
“La cotta immaginaria...” ripeto tra me e me mentre le rotelline del mio cervello cominciano a lavorare.
“Anche il fatto che non esca mai con nessuna ragazza... E' ovvio che è ancora sotto per Beth”
“Questo non è esatto: è uscito con te”
“Io sono un'amica”
“Ma sei anche una ragazza. Una ragazza con cui è molto affettuoso”
“Eddie mi ha lasciato intendere chiaramente che gli manca la sua ragazza, la sua presenza... Se è affettuoso probabilmente o è nel suo carattere o è perché gli manca... beh sì, un po' di calore umano, per colmare l'assenza di Beth”
“Che cazzata, se volesse solo del calore umano ci proverebbe con tipe qualsiasi, non credi? Che glielo darebbero volentieri”
“Non lo farebbe mai, col rischio che l'altra persona fraintenda o che la cosa dia inizio a un coinvolgimento più o meno emotivo, come poteva succedere con Violet per esempio, che è poi il motivo per cui l'ha evitata” continua lei ed è quando pronuncia il nome di Violet che un set di sveglie comincia a suonarmi in testa all'unisono.
“Che è poi il motivo per cui se n'è uscito con la storia della presunta cotta”
“Esatto”
“ESATTO UN CAZZO, ANGIE! NON HAI CAPITO??” salto in piedi sul letto, non prima di averle dato una sonora pacca sulla schiena.
“Meg, sei impazzita?”
“SEI TU, CAZZO!”
“Il potassio della banana comincia a fare effetto, vedo. Mai sottovalutare i sali minerali” ribatte sarcastica, mentre continuo a saltellare sul letto.
“Ti reputo una persona intelligente, perciò rifletti: stava con un suo amico, poi si sono lasciati e in seguito frequentava un altro”
“Ma chi?”
“La tipa immaginaria che ha rubato il cuore a Eddie, non ti ricordi, questo è quello che ha raccontato a Violet, giusto?”
“Sì, e allora?”
“E allora, quella cretina ha pensato a me, ma non è tutta colpa sua, dopotutto ci sono cose che lei non sapeva”
“Di che diavolo stai parlando, Meg? E puoi smetterla di saltare sul mio letto?”
“No. Tu con chi stavi quando hai conosciuto Eddie?”
“Tecnicamente con nessuno”
“E non tecnicamente? Dai, su, non rendere le cose più difficili”
“Con Jerry? E quindi?”
“Jerry lo possiamo definire un amico o conoscente di Eddie, no?”
“Più o meno”
“Poi vi siete lasciati male, giusto?”
“Giusto”
“E poi chi hai frequentato?”
“Nessuno”
“Ahahah davvero? Non dire cazzate”
“Non capisco dove vuoi arrivare”
“Allora mettiamola così: con chi sei uscita un paio di volte rispolverando i vecchi tempi e, a quanto pare, solo quelli?”
“Ok, con Dave. E quindi?”
“E quindi non ti sembra una coincidenza molto strana?” con un ultimo salto torno in posizione seduta, proprio di fronte a lei.
“No, che coincidenza?”
“Angie, non fare finta di non capire, per piacere”
“E va bene, ho capito cosa stai insinuando, ma preferisco far finta di non capire perché non voglio offenderti ridendoti in faccia”
“E' così assurdo che Eddie possa avere una cotta per te?”
“Sì, talmente assurdo da non essere vero”
“Mmm ok. Tu invece?”
“Io cosa?”
“Tu che provi?”
“Che vuol dire che provo? Niente”
“Non provi niente? Ti è indifferente? Non ti interessa di lui?”
“Certo che mi interessa, ci tengo... da amica”
“Da amica e basta?”
“Sì” risponde troppo in fretta.
“Non è che anche a te fa piacere questo scambio di calore umano?”
“Sì... cioè, no... oddio, mi fai sentire una persona orribile!” Angie si infila sotto le coperte imbronciata.
“Ahahah orribile? E perché mai?”
“Perché mi stai praticamente dicendo che sto usando Eddie perché mi sento sola”
“Che è poi la stessa cosa che tu stai dicendo di lui da quando abbiamo iniziato a parlare”
“E' diverso, Eddie non mi sta usando”
“Ah quindi se lo fa Eddie va bene e se lo fai tu no?”
“Eddie non lo fa con malizia, non consapevolmente”
“E invece tu...?” e qui ti volevo.
“Io... uff...” Angie si tira il piumone sopra la testa per nascondersi.
“ALLORA TI PIACE, AMMETTILO!” la aggredisco attraverso le coperte.
“No”
“Devo ricominciare a saltare?”
“E va bene, mi piace, ok? E' un bel ragazzo ed è anche interessante. E affettuoso. Ed è un caro amico e io dovrei reagire con distacco e invece no, sono stronza!” Angie riemerge dalle coperte, il broncio trasformato in una smorfia sofferente.
“Angie, non c'è niente di male se ti fai coccolare un po'...”
“E invece sì, perché nonostante tutto finirò per illudermi, lo so già”
“A volte le illusioni diventano realtà, anzi, a volte siamo così confusi da scambiare la realtà per illusione”
“O viceversa”
“Senti, io non conosco bene Eddie, non quanto lo conosci tu, e non so se ha effettivamente una cotta per te, ma se c'è una cosa di cui sono sicura al 100% è che ci tiene a te e ti rispetta troppo per usarti come dici tu”
“Lo so”
“E che ha un bel culo, anche quella è una solida certezza” aggiungo riuscendo finalmente a farla ridere, ma anche a farle scatenare una guerra di cuscini all'ultimo sangue.
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“EDDIE! EDDIE!” la voce ancora un po' rauca di Angie mi chiama a gran voce attraverso la porta del camerino.
Beh, camerino è una parola grossa, diciamo stanza con divanetto e posacenere dove le band che suonano all'Off Ramp possono cazzeggiare prima e dopo il concerto e lasciare il proprio segno chissà quanto indelebile sulle pareti, già interamente ricoperte di scritte e firme. Devo essermi appisolato mentre ero sovrappensiero.
“Sì, ci sono”
“Sì può?” chiede di nuovo bussando.
“Certo, entra” rispondo nascondendo con un calcio sotto il divano la maglietta sudata che mi sono cambiato dopo il concerto.
“Ehi, che fai lì impalato? Ti stanno aspettando tutti. Beh, quasi tutti, Stone è già partito senza di te”
“Scusa, stavo... stavo scrivendo e ho perso la cognizione del tempo”
“Il live di stasera ti ha ispirato?” continua chiudendosi la porta alle spalle e avanzando verso di me.
“Sì, eccome”
“Beh, ci credo, è stato fantastico. E tu sei davvero migliorato, devo dare ragione a Jeff”
“Oh grazie”
“Molto più energico e appassionato, mi sei piaciuto!”
“Mi fa piacere, la tua opinione è importante per me”
“E anche l'alchimia tra di voi, si vede che suonate insieme da più tempo”
“E il pezzo nuovo?”
“Ehm che?”
“La canzone nuova... Oceans... quella che ti ho dedicato... che ne pensi?” non so come mi è venuto, non so come posso aver fatto una cosa del genere. Forse il vino che ho bevuto prima di salire sul palco per sciogliere i nervi ha avuto un ruolo in tutto questo.
“Oh quella! Bellissima, un po' strana...”
“Già, non c'entra molto col resto”
“Però mi è piaciuta, molto... come dire... suggestiva”
“Sono contento. E ti è piaciuto anche quello che ho detto? Voglio dire, su di te, eccetera...” ho dedicato la canzone a lei definendola una persona speciale che adoro e che avrei sperato di vedere dopo il concerto. Mentre lo dicevo mi immaginavo che sarebbe fuggita per la vergogna dopo cinque secondi, invece è rimasta lì, impietrita e rossa come un peperone, ma pur sempre lì. E ci è rimasta per tutto il tempo della canzone e per tutto quel tempo non le ho tolto gli occhi di dosso.
“Oh beh, sì, mi ha un po' sorpreso, cioè, più di un po'” risponde con lo sguardo fisso sul pavimento e le mani dietro la schiena.
“Non volevo metterti in imbarazzo” però l'hai fatto, grandissima testa di cazzo.
“No, tranquillo, figurati”
“E' che la canzone... beh, l'ho scritta per te, e mentre ero là sopra ti ho vista e allora non ho potuto farne a meno, mi è venuto spontaneo”
“E' una bellissima canzone, Eddie”
“E' merito tuo”
“Eheh no, l'artista sei tu! Comunque mi piace moltissimo il testo, quando parli del legame, sottile come un filo, ma allo stesso tempo indistruttibile, e del fatto di esserci sempre per l'altra persona, del ritornare sempre” spiega venendosi a sedere accanto a me sul micro-divano.
“Già”
“E' una gran canzone sull'amicizia, quella vera” aggiunge sorridendo e a questo punto non resisto più.
“Angie, in quel brano ci sono tantissime cose, ma l'amicizia non è fra quelle”
“No?” domanda stranita.
“No, te lo posso assicurare”
“E allora cosa c'è?”
“Non l'hai ancora capito?”
“Come posso capirlo se non me lo dici?”
“Hai ragione anche tu”
“Allora dimmelo” Angie accavalla le gambe e così facendo sfiora leggermente la mia e il fatto che abbia deciso di mettere una gonna, oltre all'estrema vicinanza, non mi aiuta affatto a concentrarmi.
“Non sono bravo con le parole”
“Disse colui che con le parole ci lavora” ironizza lei col suo adorabile sorrisetto.
“E' diverso”
“Allora non usare le parole” suggerisce con un tipo diverso di sorriso, uno malizioso, che non le ho mai visto, che mi colpisce come una scossa elettrica.
Baciarla non è una decisione ragionata, non è un'azione che compio attivamente, è più che altro un atto inevitabile a cui decido di non oppormi minimamente, sono spettatore di me stesso che le prendo il viso tra le mani e premo le labbra contro le sue, mentre lei mi abbraccia per i fianchi, stringendo più forte nel momento in cui insinuo la lingua nella sua bocca.
“EDDIE!” stavolta è Jeff che mi chiama al di là della porta.
“Sì!” rispondo affannato, staccandomi a malincuore da quel bacio.
“EDDIE SEI VIVO? TI MUOVI?!”
“Eddie?” stavolta è la voce più dolce di chi mi sta accanto a chiamarmi, mentre io ho lo sguardo fisso verso la porta, almeno finché Angie non mi prende il mento tra le dita e mi forza a guardarla. E' stupenda, le guance in fiamme, i capelli un po' spettinati, la matita sull'occhio sinistro leggermente sbavata quasi sicuramente da me, le labbra dischiuse.
“Sì?”
“Potresti spiegarti meglio?”
“Eh?” chiedo con i pugni del bassista sulla porta in sottofondo.
“Quello che mi dovevi dire, senza parole... Non ho capito bene” spiega seria seria, scuotendo la testa.
“COME NON HAI CAPITO?? MA CHE CAZZO, ANGIE, MI SEMBRA CH-” mi sale in un attimo il sangue al cervello, fino a quando lei non mi punta l'indice sulla bocca zittendomi.
“Eh sì, non ho capito, perciò me lo devi rispiegare... nel senso che dovresti continuare a spiegarmelo, come hai fatto prima, ancora per un po'...” Angie sostituisce il dito con le sue labbra, che sussurrano la sua richiesta sulle mie.
“EDDIE! TOCCA A NOI!” il mio collega urla, ma io non capisco neanche il senso di quello che dice.
“AAAH! Sì, beh, volentieri, ma... ecco... c'è Jeff che mi chiama e...”
“... e chi se ne frega” ribatte prima di stamparmi una fila di bacini sul solo labbro inferiore, che poi cattura tra i denti.
“Ma infatti...” bofonchio io con la bocca mezza occupata “Che cazzo me ne frega”
“AH NON TE NE FREGA EH? ASPETTA CHE LO DICA A STONE!” spalanco gli occhi a quell'urlo e mi ritrovo Jeff in piedi davanti a me a braccia conserte e sguardo metà torvo e metà divertito.
“Ehi Jeff, che caz-” confuso, mi tiro su mettendomi a sedere meglio sul divano, su cui non c'è nessuno a parte me.
“Ma che fai? Dormi? Tocca a noi, suoniamo tra cinque minuti!”
“Mi sa che mi sono appisolato” commento realizzando che il concerto non c'è mai stato, non ancora. E nemmeno tutto il resto.
“Ahahah non è il momento di dormire questo, cerca di svegliarti su!”
***
“Ma il pezzo nuovo?” domanda Angie, rompendo il silenzio all'interno del mio pick up dopo che abbiamo accompagnato Mike a casa.
“Che? Quale pezzo?”
“L'altra sera non mi hai detto che avevi scritto un pezzo nuovo, diverso dagli altri?”
“Ah quello! Sì, beh, molto diverso, troppo. Più che altro è un lento, abbiamo già Release, volevamo che il resto del set fosse più energetico ecco” spiego arrampicandomi sugli specchi. In realtà Stone aveva proposto di farla proprio al posto di Release, ad aprire il concerto, ma mi sono opposto, spalleggiato stranamente da Jeff. Ancora più stranamente l'abbiamo avuta vinta.
“Capito. Il mistero si infittisce” commenta ridacchiando e io butto per l’ennesima volta lo sguardo sulle sue gambe, che vedo per l’ennesima volta fasciate dai jeans e non scoperte come nel mio stupido sogno.
“Hai sonno, Angie?”
“Beh, no, cioè, non esageratamente, perché?”
“Perché io non ne ho”
“Ommioddio, che cosa strana!” scherza sgranando gli occhi.
“Non voglio andare a casa subito, che dici, facciamo un giro?” le propongo fingendo che l'idea mi sia venuta così sul momento, quando in realtà ho pianificato tutto quasi nei minimi dettagli. Ho preso il mio pick up apposta calcolando che dopo il concerto e dopo la riunione al pub Jeff se ne sarebbe andato via con Laura a casa di lei, Dave sarebbe andato dalla fidanzata e Stone e Mike avrebbero preso il furgone della band. Angie mi aveva anche anticipato al telefono che Meg sarebbe venuta solo al concerto, onde evitare scene imbarazzanti con McCready, e se ne sarebbe poi tornata a casa per i fatti suoi. Avevo il quadro della situazione e ci avevo quasi preso, il quasi soltanto perché non avevo calcolato Grace. Stone si è presentato mano nella mano con lei, e non si sono certo limitati alle mani, senza ovviamente dare alcun tipo di spiegazione sulla rapida evoluzione del loro rapporto, cosa che dopotutto non era tenuto a fornirci. Buon per loro! Un po' meno per me, perché alla fine mi sono ritrovato con un chitarrista non previsto in macchina. Mike però, non so se apposta o per caso, ha insistito perché lo accompagnassi a casa per primo e Angie non si è opposta alla richiesta.
“Mmm ok, dove?”
“Partitella?” le propongo nel momento in cui passiamo davanti al campetto vicino a casa sua.
“Ahahah a quest'ora?!”
“Perché no?”
“E la palla dove la troviamo? Ce l'hai dietro?”
“Ah già” che cazzo, potevo pensarci!
“Facciamo un giro in centro magari” propone, lasciando intendere che allora non le dispiacerebbe passare un altro po' di tempo con quel coglione di Eddie.
“Aggiudicato!” esclamo mentre pigio un po' di più sull'acceleratore “Mi è anche venuta un'idea”
“Devo cominciare ad aver paura?”
“Nah. Non ancora, almeno”
***
“Tu sei scemo” le sento dire quando sono in cima alla breve scalinata che porta alla biglietteria, mi volto e la vedo ferma ai piedi delle scale, che mi guarda come se fossi pazzo. O scemo, per l’appunto.
“Dai, perché?”
“Hai detto che mi portavi all'acquario”
“Lo so,” rispondo beffardo indicando la cima dello Space Needle “ho cambiato idea: questo mi sembra più divertente”
“A me no”
“Hai detto che non soffri di vertigini”
“Invece sì, ti ho detto che a volte mi da fastidio guardare gli edifici alti”
“E noi ci saliamo in cima, così dall'alto non ti creerà nessun fastidio” rispondo scendendo di nuovo giù per raggiungerla.
“Col cazzo”
“Perché? Di che hai paura?”
“Come di che ho paura? Come ci si sale secondo te sul tetto dello Space Needle? Con una scala a pioli?”
“Ah! L'ascensore!”
“Già, l'ascensore”
“Ma è veloce, ci mette pochissimo”
“Un ascensore razzo, molto rassicurante. Grazie, ora sì che ho voglia di salirci”
“E poi è trasparente, è come se fosse aperto, non ti dà il senso di claustrofobia”
“Perfetto, così potrò vedere con precisione dove andremo a sfracellarci quando precipiterà al suolo con noi dentro” ribatte serissima e io non riesco a non scoppiargli a ridere in faccia.
“Ahahah come sei drammatica!”
“E' la stessa cosa che dirò io a te quando piangerai come un vitello prima dello schianto”
“Ah! Allora vuol dire che ci vieni” esclamo prendendola per mano, sperando di averla già incastrata.
“Col cazzo”
“E' il simbolo della città, non puoi non esserci stata”
“Tu ci sei già stato?”
“No”
“E allora!”
“E' proprio per questo che voglio salirci, con te” provo a tirarla verso di me, niente.
“Io che c'entro, non sono un'attrazione di Seattle” questo lo dice lei.
“Dai, cazzo, è come andare a Parigi e non visitare la Torre Eiffel”
“Io ci sono stata a Parigi, la Tour Eiffel l'ho vista da lontano e mi reputo ugualmente soddisfatta”
“Sei andata a Parigi? Mi piacerebbe visitarla un giorno, non sono mai stato in Europa” non sono mai stato in un sacco di posti.
“Né mai ci andrai se muoriamo stasera su questo cazzo di ascensore” stacca la mano dalla mia e incrocia le braccia.
“Ahahah senti, Angie” mi avvicino ancora e lei cerca di evitare il mio sguardo guardando a terra.
“No, non ne voglio sapere” illusa.
“Ascoltami” le metto le mani sulle spalle e praticamente la obbligo a guardarmi.
“No”
“Non moriremo” che poi non lo so, magari moriremo, in fondo ce ne andremo tutti prima o poi, e allora tanto vale fare quello che l'istinto ci dice di fare quando ne abbiamo voglia, finché siamo in vita. E l'istinto mi dice che prima di morire voglio baciare Angie su quel cazzo di ponte di osservazione.
“Che ne sai?” chiede come se fosse davvero una domanda seria.
“Te lo prometto, va bene?” non mi sembra il caso di spiegarle il mio punto di vista e mi limito a rassicurarla.
“Uffa, Eddie” sbuffa.
“Fidati di me”
“Guarda che lo so che non è razionale, che sto facendo la figura della deficiente, ma ho paura”
“Ma non devi”
“Non ci posso fare niente”
“Ci sono io con te”
“A meno che tu non sappia volare come Superman, non vedo come la tua presenza possa essermi d'aiuto in questo caso specifico”
“Dai, accompagnami” non capisce che è la sua presenza ad aiutare me e io non so come altro farglielo capire.
“No”
“Sarà divertente” sorrido e le stringo leggermente le spalle.
“Piantala”
“Per favore” sorrido di più.
“Te le spiano col ferro da stiro quelle fossette di merda”
“Grazie, so che per te è stato un grande sforzo accettare, significa molto per me” le dico quando siamo dentro, dopo aver comprato i biglietti.
“Significa che sei uno stronzo”
“Anch'io ti voglio bene” le dico senza pensarci e anche Angie sembra non farci caso più di tanto, sarà troppo distratta dalla fifa.
“E se prendessimo le scale?” chiede mentre ci mettiamo in fila per uno degli ascensori. C'è poca gente, non dovremo aspettare molto.
“Le scale?”
“Sì”
“Non ci sono scale, Angie”
“Ci saranno per forza, ci devono essere. Per il personale, la manutenzione, anche per le emergenze”
“Non credo ci siano. E anche se ci fossero... ti fai sessanta piani di scale?”
“Volendo”
“Per evitare un minuto di ascensore?”
“Perché, ci mette così tanto?” mi afferra per il braccio e mi guarda seriamente spaventata.
“Nah, magari anche meno, ho sparato a caso”
Quando le porte dell'ascensore si aprono e i visitatori che hanno finito il loro giro scendono, Angie capisce che tocca a noi e avanza rassegnata verso il suo destino, senza mollare il mio braccio, cosa che non mi dispiace affatto. Io vorrei rimanere davanti, per guardare il panorama durante la salita, ma Angie mi trascina dietro, in fondo all'ascensore, e anche se un po' mi scoccia, penso valga la pena fare un piccolo sacrificio per lei. Le porte si richiudono e non appena l'ascensore si stacca da terra, Angie mi stringe così forte con entrambe le mani che quasi mi trapassa il braccio con le unghie. Durante la salita, il ragazzo dell'ascensore ci informa che stiamo viaggiando a circa dieci km all'ora e racconta una breve storia della costruzione della torre, ma non credo che Angie senta nulla di tutto questo. E nemmeno io sento più niente, visto che ormai ho perso la sensibilità al braccio. Quando arriviamo in cima tiriamo un sospiro di sollievo in due, lei perché è ancora viva e io perché mi tocco l'arto e scopro con piacere che è ancora attaccato al corpo.
“Visto? Non siamo morti” le dico mentre iniziamo a percorrere il perimetro della terrazza.
“Non cantare vittoria, posso sempre buttarti di sotto se non la smetti di stuzzicarmi” una Angie decisamente più rilassata mi spinge via e si appoggia alla balaustra, per godersi il panorama. La nottata è limpida e la vista è fantastica. Mi indica da che parte dovrebbe essere casa sua, la mia, le case di tutti i nostri amici, l'Off Ramp, poi le montagne Cascade e la Elliot Bay, quella che abbiamo visto l'altra sera, da molto più in basso a Pike Place. Io faccio finta di guardare ogni volta, in realtà non le stacco gli occhi di dosso, aspettando che mi veda, che si accorga di me, che si crei quella piccola parentesi di imbarazzo che precede un bacio, ma lei non mi caga proprio. Avanziamo lungo la terrazza e mi indica una serie di parchi e via via altri luoghi di interesse di Downtown Seattle. A questo punto provo a concentrarmi sul panorama, ma la mia attenzione è catturata da qualcos'altro.
“Wow!” esclamo dopo aver afferrato due dei cavi orizzontali di sicurezza che circondano la terrazza e averci infilato in mezzo la testa per guardare meglio “La vista è tutta un'altra cosa senza barriere”
“Eddie che fai? Non si può” sento Angie darmi un paio di strattoni alla giacca.
“Com'è il detto? Se ci passa la testa, ci passa anche tutto il corpo...”
“Che razza di detto è? Io non l'ho mai sentito”
“Ti va un souvenir?”
“Sì, già che sono qui andrò a prendermi una cartolina e un paio di calamite prima di andare. Sai che le colleziono?”
“Sì, ne ho intravista giusto qualche decina a casa tua”
“Esagerato”
“Comunque io pensavo a qualcos'altro, qualcosa di più particolare, di prezioso” sottolineo sporgendomi un po' di più.
“Del tipo?”
“Tipo quelle” rispondo infilando anche il braccio destro tra i cavi e indicando gli oggetti di mio interesse.
“Quelle cosa?”
“Quelle,” spiego indicando di nuovo la fila di luci appollaiate su un sostegno di acciaio a circa tre metri da qui “stavo pensando di andare a prendere una di quelle lampadine”
“Ahahah seh, come no”
“Quello sarebbe il souvenir definitivo” levo la testa dai cavi e mollo la presa, mi guardo attorno constatando che non c'è nessuno negli immediati paraggi e per un paio di secondi Angie è ancora convinta che io stia scherzando, almeno fino a quando non mi siedo con un balzo sulla balaustra e mi infilo di nuovo tra i due cavi, stavolta fino al petto.
“EDDIE?!”
“Shhhhhh non gridare o qualcuno verrà a vedere che succede”
“Oh lo spero e spero porti con sé una camicia di forza robusta. Sei impazzito??” Angie mi afferra di nuovo per la giacca.
“Perché?”
“Siamo sopravvissuti all'ascensore e vuoi morire facendo free climbing sulla torre?”
“No, voglio solo farti un regalo” provo a uscire dalla recinzione, ma Angie non molla.
“Il regalo migliore che puoi farmi in questo momento è scendere di lì”
“Perché non sarebbe solo una lampadina, sarebbe un simbolo, di quello che sono e di ciò in cui credo”
“Credi nel suicidio?”
“Credo nell'oggi, nell'adesso, nel vivere ogni momento come fosse l'ultimo perché non sappiamo quanto ci resta. L'hai detto anche tu, può succedere, potrei morire su quell'ascensore del cazzo nella discesa e non aver mai provato la sensazione di stare sospeso a più di 150 metri da terra” e nemmeno la sensazione di baciarti, se è per questo, che poi sarebbe il motivo per cui ti ho portata qui, come se fosse necessario un posto particolare per baciare una persona. Il fatto è che adesso mi sono fissato con quelle cazzo di lampadine e non c'è nulla che possa distogliermi da questo pensiero.
“E io non ho mai provato la sensazione di prenderti a calci nel culo, me lo fai questo regalo?” ringhia guardandosi attorno.
“Guarda che sono bravo ad arrampicarmi, ce la faccio”
“Scordatelo”
“Sarebbe una vera figata!”
“Queste figate falle quando non ci sono io. O non farle proprio, che è meglio”
“Senti, io vado” faccio per muovermi e Angie mi afferra un piede e mi tira all'ingiù così bruscamente che per un attimo mi sbilancio per davvero.
“Se ti muovi di un solo millimetro caccio un urlo così forte da svegliare tutta Seattle e ti faccio arrestare”
Alla fine, dopo qualche altro minuto di battibecco, seppur con riluttanza, desisto dalla mia impresa e ritorno coi piedi per terra. Beh, per terra, più o meno. Per tirarla su le compro tre cartoline e quattro calamite, poi mi lamento un po’ perché ho perso l'occasione di provare un brivido per colpa sua, lei mi insulta con epiteti più o meno volgari. E' così che trascorriamo il resto del nostro giro, tanto che quando mi ritrovo in macchina con Angie quasi non mi rendo conto di come ci sono arrivato. Vivere l'attimo eh? Carpe diem? L'attimo con Angie non l'hai colto però, l'hai perso alla grande. E mentre ci penso non mi rendo conto che il tempo che passa è fatto di moltissimi attimi, che si potrebbero sfruttare, o meglio, me ne rendo conto, ma nessuno sembra quello giusto. Arrampicarsi su una torre è più facile che dichiararsi a una ragazza?
“Comunque guarda che stavo scherzando, non sarei mai salito lassù” le spiego mentre saliamo le scale del suo condominio.
“Ti stavi già arrampicando”
“Ahah ero solo seduto sulla ringhiera, facevo finta per vedere cosa dicevi”
“Beh, ho detto un sacco di parolacce, contento?”
“Abbastanza”
“Comunque non è vero, adesso dici così per farmi stare calma”
“E' la verità”
“Sto meditando di non darti la cassetta”
“No, la cassetta no! Me l'hai promesso!”
“Ti starebbe bene, come punizione”
“Dai, seriamente, sei arrabbiata davvero?”
“Non sono arrabbiata, solo un po' spaventata” ammette fermandosi su un gradino.
“Per cosa? Non è successo niente”
“Ma poteva succedere”
“Comunque la vista era uno sballo, vero?”
“Vero, era stupenda, anche vista attraverso la barriera” risponde ricominciando a salire.
“Quindi sei contenta di essere venuta?” la incalzo seguendola.
“Sì, ma non ci rimetterò mai più piede ovviamente”
“Ovviamente”
Raggiungiamo il quarto piano e ci incamminiamo lungo il corridoio in silenzio, fino ad arrivare alla porta del suo appartamento.
“Eccoci arrivati. Beh, buona notte Eddie”
“Buona notte a te”
“E buon viaggio per domani”
“Grazie”
“Grazie a te del passaggio, e del giretto”
“Anche se ti ho fatta spaventare?”
“Se te lo risparmiavi era meglio, ma sì, grazie ugualmente”
“Sei troppo buona, non ti merito” rispondo abbracciandola e facendola ridere.
“Ahah già, ti meriti un'amica che ti incita a scalare l'Empire State Building a mani nude e poi ti fa un video mentre cadi” commenta mentre la stringo.
“La videocamera gliela presti tu?”
“Certo che sì” borbotta staccandosi da me e aprendo la porta di casa.
“Immaginavo”
“Allora, ciao Eddie, fai buon viaggio. E fatti sentire ogni tanto in queste tre settimane”
“Sarà fatto”
“Buona notte” Angie fa per entrare, ma la blocco sulla porta.
“Angie, aspetta”
“Sì?”
“Stiamo dimenticando qualcosa non credi?”
“Cosa?”
“Beh... la mia cassetta” rispondo, perdendo l'ennesimo attimo.
“Ah già! Scusami,” Angie apre la borsa e ravana un po' prima di tirare fuori una cassettina per me “Però non devi ascoltarla prima di partire”
“Ok” faccio per prenderla, ma Angie la allontana.
“Prometti!”
“Te lo prometto Angie, grazie” le dico mentre me la porge, poi ne osservo la custodia, completamente bianca “E i titoli?”
“Sorpresa! Perché anticiparti le canzoni quando invece puoi vivere l'attimo e scoprire di cosa si tratta di volta in volta?”
“La finirai mai di prendermi per il culo per la storia del vivere l'attimo?”
“No, non credo”
“Oh menomale, ci speravo!” esclamo, mentre Angie mi saluta di nuovo con un breve abbraccio e si ritira nel suo appartamento, definitivamente.
Sono un coglione. Me lo ripeto a bassa voce una decina di volte, mentre prendo a leggere testate la porta di casa di Angela. L'attimo va vissuto anche nelle piccole cose quotidiane, non solo nelle imprese eccezionali. Dovevo solo portarla lassù, dirle qualcosa di carino, abbracciarla e baciarla, e invece? Perché cazzo è tutto così difficile? Salto in macchina e sono tentato di mettere su la cassetta di Angie, ma non sarebbe giusto, una promessa è una promessa. Accendo allora la radio e lo zio Bruce mi sveglia dalle mie paturnie.
A volte, piccola, è come se qualcuno prendesse un coltello
Tagliente e spuntato
E incidesse un solco di sei pollici
Lungo tutta la mia anima
La notte mi sveglio con le lenzuola fradice
E un treno merci in corsa che mi attraversa la testa
Solo tu, tu puoi placare il mio desiderio
Oooh brucio dal desiderio
Sorrido. So cosa devo fare e lo devo fare adesso.
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Angeli con una missione: al servizio dei malati abbandonati fra le macerie di Beirut
In pochi giorni il dott. Rida Zeineddine ha radunato attorno a sé infermieri e dottori che visitano gratis le persone che sono rimaste ferite dalle esplosioni al porto. Molti di loro sono anziani, malati di cancro, diabete, infetti dal Covid-19 e non possono muoversi da casa. La campagna “In aiuto a Beirut devastata”.
Beirut (AsiaNews). – Beirut non si arrende: le istituzioni pubbliche crollano, il governo si dimette, i deputati abbandonano la carica nel mezzo della crisi. Eppure, davanti agli scenari più oscuri emergono forze talvolta perfino più valide di ogni governo. Una iniziativa nata dalle necessità di questi giorni e degna di un film è quella di “Angels with Mission (Angeli con una missione)” nata dall’iniziativa di un singolo cittadino, anzi dalla sensibilità di un ragazzo 15enne.
Si tratta di un’associazione sorta dal nulla mercoledì scorso, il 5 agosto, all’indomani delle esplosioni. Rida Zeineddine, un medico è in servizio al pronto soccorso, quando si spalancano le porte dell’inferno: senza sosta arrivano feriti gravi, vittime delle esplosioni che hanno devastato la capitale. Il telefonino squilla ininterrottamente, Rida conta 250 chiamate a cui non ha risposto perché impegnato a salvare vite, estrarre vetri e schegge dai corpi, ricucire ferite aperte. Ha dovuto però rispondere alla chiamata di suo figlio 15enne, Ahmed Zeineddine:
“Papà stai bene? noi stiamo bene, siamo preoccupati per te”.
“Sono al lavoro: arrivano tanti feriti che stiamo curando”.
“Ma papà, chi si occuperà di loro quando torneranno a casa? Senza elettricità, né acqua, con questo caldo?”.
È stata la voce dell’angelo che ha suggerito quello a cui nessuno aveva pensato. Per tutta la notte Rida non dorme pensando alla domanda del figlio. L’indomani decide da solo coi propri soldi di acquistare quanto serve dalla farmacia del quartiere e si dirige verso le case, a curare le persone uscite dall’ospedale e rimaste sole a casa, con le ferite che vanno disinfettate tutti i giorni.
Con voce stanca per aver trascorso tutta la giornata a correre da una casa all’altra, il dottore Rida racconta ad AsiaNews: “Ho iniziato da solo, poi la mia iniziativa è piaciuta ad amici e colleghi. E così mi sono ritrovato affiancato da tante persone. In due giorni avevo finito i soldi del mio stipendio acquistando garze, siringhe, fili per cucire, disinfettante, betadine e quant’altro. Pian piano ho trovato sostegno da amici e parenti: chi mi portava una borsa, chi siringhe, chi aghi e fili, chi pomate, chi pochi soldi. Non ero più solo: in quattro giorni siamo diventati una cinquantina fra medici ed infermieri”.
Quando nel 1990 è finita la guerra civile in Libano, il dottor Rida aveva 10 anni. Di quel periodo egli ricorda un’infanzia rubata, un’adolescenza di ricostruzione e privazione, una gioventù di benessere finto, un Paese corrotto e derubato dai politici, con tanta gente che si aggrappava alla vita, ad un futuro migliore, sperando in un Paese migliore.
Il dott. Rida odia i confessionalismi, causa di tutti i mali del Paese. “Noi curiamo tutti – afferma – non importa a quale religione o confessione appartenga. Ho visitato siriani, palestinesi, domestiche filippine, srilankesi, … Non curo solo i libanesi: il dolore e la solitudine non hanno razza o religioni”.
I malati di cui il dott. Rida e i suoi amici si prendono cura sono “persone sole, soprattutto anziane, malati di diabete e cancro, feriti dalle esplosioni, malati con la sindrome di Down, persone infette dal Covid-19. Sono tutte persone che non possono recarsi agli ospedali, o non hanno I soldi per andare a farsi togliere le schegge di vetro; gli stranieri, che sono privi di documenti. La miseria è ovunque, nascosta, sepolta come i corpi sotto le macerie, in un silenzio tombale”.
Il silenzio è vinto coi social media: “Ho aperto una pagina su Facebook – spiega – e un profilo su Twitter, e ho lanciato appelli per cure a domicilio gratuite. E la gente ci contatta. Io sottolineo sempre ‘gratuite’, perché molte volte la gente non ha nemmeno i soldi per comprarsi il pane”.
I casi che in questi giorni l’hanno colpito di più sono anzitutto quello di “una signora 80enne, che ha vissuto la Seconda guerra mondiale, la guerra del 1958, quella dal 1975 al 1990. È stata trafitta dai vetri rotti ed è sola in casa, al secondo piano di un palazzo ormai inaccessibile, con le scale distrutte e l’ingresso bloccato da macerie. Per arrivarci siamo dovuti scendere dalla terrazza passando da un palazzo adiacente anch’esso vacillante. La donna ha riportato 400 punti, rifiuta di abbandonare la propria casa e vuole vivere lì in mezzo ai ricordi di un’intera vita, che ora giacciono sparpagliati, o semi-distrutti sul pavimento”.
Poi vi è “un signore malato di diabete, con un piede amputato che non riesce a scendere dal letto. Anche lui aveva molte ferite procurate dalle schegge di vetro”.
I casi sono tanti ognuno una vita di dolore insopportabile, sennò per dignità e forte attaccamento alla vita”
“Continueremo con le nostre forze e risorse, finché possiamo. Qui la situazione economica è difficile per tutti. Abbiamo bisogno di materiale medico per alleviare dolori, curare feriti, disinfettare ogni giorno le piaghe. Speriamo nell’aiuto di tutti”.
A sostegno della popolazione di Beirut e del Libano, in appoggio alla Caritas Libano, AsiaNews ha deciso di lanciare la campagna “In aiuto a Beirut devastata”. Coloro che vogliono contribuire possono inviare donazioni a:
– Fondazione PIME – IBAN: IT78C0306909606100000169898 – Codice identificativo istituto (BIC): BCITITMM –
Causale: “AN04 – IN AIUTO A BEIRUT DEVASTATA”
– attraverso il sito di AsiaNews alla voce “DONA ORA”
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Capitolo 36
«Lord dell'Assemblea, vi richiamo all'ordine!» Urlò il Siniscalco per l'ennesima volta.
Non aveva mai visto l'Assemblea dei Clan così in subbuglio. Nemmeno quando era tornato dalla pianura per affrontarli la prima volta i toni erano stati così accesi.
«Sono io l'unico erede degno di mio padre, chiedo che questo fratricida sia messo a morte!» Tuonò Serkan, indicandolo.
«Non sono io il vero fratricida, qui, e lo sappiamo tutti.» Ribatté Arsim, sforzandosi di mantenere un tono pacato. Perdere le staffe si sarebbe rivelato controproducente. «E ne ho anche le prove.»
Fece cenno al Custode del Sapere, portato apposta per confutare la validità dei documenti.
Quello si schiarì la voce, leggendo a tutti ciò che Senua e gli altri avevano trovato nel covo del Karta.
«L'unica cosa che suppone la mia partecipazione ad entrambi gli attacchi, sia contro mio fratello VOLKAN che alle Prove, è il sigillo della casata Aducan!» Si oppose Serkan. «E lui ne possiede uno uguale! Chi può dire che non abbia finto di essere attaccato alle Prove, solo per accusarmi di aver infangato le nostre tradizioni?»
«Giusto!» Urlò qualcuno dalla sua parte. Alcuni annuirono vigorosamente.
«E allora cosa mi dici della lettera di nostro padre? Anche quella è un falso? Porta il sigillo del re in persona!»
Lo vide stringere i denti. «Nostro padre delirava dal dolore. Non sono altro che vaneggiamenti.»
«Ho visto chi è davvero Serkan. E quando l'ho scoperto, ho realizzato di essere stato uno sciocco. Perché solo uno sciocco si strapperebbe il cuore dal petto, dandolo alle fiamme soltanto per salvare le apparenze. Non ho mai creduto nella tua colpevolezza. Ho lasciato che ti arrestassero per paura che un'indagine nell'omicidio di Volkan portasse la nostra casata alla rovina in uno scandalo agli occhi dei Clan, che costasse alla nostra casata il trono. Ma non ho salvato nulla: ho mandato il mio ultimo figlio a morire, costringendolo a fuggire. Perdonami se puoi.» Ripeté le ultime parole del padre alla lettera, ormai imparate a memoria da tutte le volte che aveva letto quella pergamena. «L'ho perdonato. Ho sempre amato e rispettato mio padre, anche quando ha lasciato che tutti voi mi condannaste per un crimine che non avevo, e non avrei mai, commesso. Si rese conto di che razza di persona fosse Serkan, e mi mandò questa lettera, nella speranza che sistemassi le cose. Che non lasciassi la corona, il futuro del nostro regno, nelle mani di un criminale, un assassino, un bugiardo e un avvelenatore!»
L'Assemblea esplose di nuovo, costringendo il Siniscalco ad urlare per far tornare il silenzio.
«Ho dimostrato il mio onore nelle Prove, vincendo tutti gli scontri onestamente.» Proseguì, alzando la voce. «E Serkan, troppo codardo per affrontarmi a viso aperto, ha preferito tramare con il Karta per togliermi di mezzo, anche a costo di uccidere uno dei suoi uomini migliori nella mischia.» Indicò il cugino, Malak, che sedeva composto alla sinistra di Serkan. Quello rimase impassibile.
«Il Karta, che spadroneggiava per l'intera città, arrivando perfino ad estendere la sua influenza qui, nel Distretto dei Diamanti! E ancora Serkan si rifiutava di affrontare il problema. Ma i miei uomini l'hanno risolto.»
«Tra i tuoi uomini c'è la senzacasta che ha disonorato le Prove!» Urlò qualcuno.
Arsim accusò il colpo. «È vero. E senza di lei, chiusa nella cella accanto alla mia, non sarei mai riuscito a sfuggire ad una morte ingiusta, alla quale tutti voi mi avreste condannato senza nemmeno concedermi un giusto processo!»
«Siete in combutta coi senzacasta!»
Non si lasciò intimidire. «Quella stessa senzacasta, mi ha salvato la vita poche settimane fa, nelle Vie Profonde. Assieme a lei e ai Venator, abbiamo combattuto al fianco della Legione dei Morti fino alle mura Ovest di Bownammar, sconfiggendo orde di Falmer e ritrovando l'Incudine del Vuoto e lo stesso Odonor, che la forgiò quattrocento generazioni anni fa!»
Cadde il silenzio. La tensione era palpabile, l'intera Assemblea pendeva dalle sue labbra.
«Ho scelto di non seguire la follia della Campionessa Tarja, partita per ritrovare l'Incudine: Tarja ha sacrificato la sua intera casata per quell'arma, e non potevo permettere che una simile tragedia si ripetesse. Ho scelto di distruggere l'Incudine del Vuoto, seguendo la volontà di colui che l'aveva forgiata. In cambio, Odonor stesso mi ha donato la corona del prossimo re di Harrogath.» Sollevò l'oggetto in modo che tutti potessero vederlo, passandolo poi di mano in mano fino al Lord Siniscalco.
«La tua scelta ci ha condannati tutti!» Ribatté Serkan. «Con l'Incudine ed un esercito di armi Nephilim, avremo potuto riprenderci tutto quello che è nostro, sbaragliare i Falmer!»
«Vorresti davvero schiavizzare i tuoi sudditi, fratello? Credi sia giusto fondare il prossimo Impero nel sangue di centinaia di persone?»
Sapeva ormai di avere gran parte dell'Assemblea dalla sua parte. Era il momento di usare i suoi sostenitori politici.
«Per anni Harrogath si è chiusa nell'isolazionismo. È giusto mantenere le tradizioni, ma il progresso avanza, che lo vogliamo o meno. Non vi chiedo di cambiare, ma di migliorarci. Tutti noi, dal primo all'ultimo. Sono cresciuto come un soldato, e conosco l'onestà della battaglia, il cameratismo tra compagni, la fiducia che ognuno di noi ripone in coloro con i quali scende sul campo.» Puntò il dito contro suo fratello. «Serkan non si è mai distinto in battaglia, e fino alla morte di nostro fratello Volkan si è sempre mosso nell'ombra della politica, tra patti e sotterfugi. È giunto il momento di scegliere.» Allargò le braccia, teatralmente, lo sguardo che si posava su ciascuna fila di Clan. «Chi volete sul trono di Giada? A chi affiderete il nostro futuro?»
La maggior parte degli astanti si alzò in piedi all'unisono, invocando il suo nome.
Joritz il Potente, Denek Helmi, Anwer Dace. Bemot, Meino, Vollney, Astyth, Ivo e molti altri mostrarono il loro supporto al Principe Arsim Aducan, battendo ritmicamente i propri bastoni sul pavimento di pietra levigata.
Serkan aveva ormai perso. In netta inferiorità, lo vide agitarsi sul suo scranno.
Il Siniscalco parlò allora di nuovo, afferrando la corona forgiata da Odonor e alzandola sopra la testa, facendo segno a Arsim di avvicinarsi. «L'Assemblea ha scelto.»
Si inginocchiò di fronte a lui, il cuore che gli martellava in petto.
“Padre, ce l'ho fatta.”
«Che i Ricordi vi giudichino degno, primo tra i signori dei Clan, Re Barbaro di Harrogath.» Gli pose la corona sul capo, il peso di essa un monito per tutto ciò che si stava prendendo in carica.
«Re Arsim Aducan!»
Dal frastuono che si levò in seguito, emerse una voce che ben conosceva.
«No, non lo accetto!»
Serkan, l'ascia stretta fra le mani, era arrivato a pochi passi da lui, Malak e Vartag Gavorn al suo fianco.
«La decisione è presa.» Ribatté il Siniscalco.
«Io sono il candidato migliore, sarò io il re!»
Arsim, che non aveva nemmeno con sè la sua arma, non si trasse indietro. «Serkan, accetta la sconfitta con dignità. Hai perso e pagherai per tutto quello che hai fatto.»
«Hai ucciso nostro fratello Volkan, non…»
Prima che potesse finire la frase, crollò a terra. Malak, sopra di lui, la propria ascia sollevata, lo squadrò con disgusto. «Hai finito di insozzare il nome di Volkan Aducan.»
«Tu! Traditore!» Sbraitò Serkan, cercando di rimettersi in piedi.
Arsim superò Gavorn, rimasto spiazzato, troneggiando sul fratello. «Confessa.»
Quello sputò per terra. «Quel mucchio di escrementi di nug non sarebbe stato un buon re, E tu, tu non sarai da meno. No, io sarei stato un ottimo sovrano, avrei portato il regno allo splendore! Ma nessuno calcola mai il fratello minore, il più piccolo dei tre. Ero solo il galoppino di Volkan, lo sciocco fratellino che non era degno di scendere in battaglia con te! Ho ingannato tutti, incastrandoti per il suo omicidio!»
«Non tutti. Non nostro padre.»
Lo guardò carico d'odio. «Nostro padre era uno sciocco, ed è morto come tale.»
Guardò quello che un tempo era stato il suo fratellino. Ora, l’uomo che aveva davanti non aveva più nulla del bambino che restava per ore ad ascoltare i racconti di guerra del padre, del ragazzino che pregava i fratelli di portarlo a combattere con loro.
«Ti abbiamo sempre dovuto proteggere, Serkan, perché eri debole. Ma sì, è vero, ti abbiamo sottovalutato. Non pensavo fossi capace di tanta viltà.»
«Non osare…»
«Silenzio.» Gli intimò Arsim con un sibilo. «Serkan Aducan, sei colpevole dell'omicidio del Principe Volkan Aducan e di quello del Re Endrin Aducan. Hai complottato con dei criminali e disonorato le nostre tradizioni. Io, Arsim Aducan, Re di Harrogath, di fronte all'intera Assemblea qui riunita, ti condanno a morte.»
Joritz gli passò la sua ascia.
Mentre Serkan farneticava parole cariche d'odio e l'Assemblea cadeva nel silenzio, sollevò la propria arma, incontrando per l'ultima volta lo sguardo del fratello.
Un tonfo sordo e la sua amara vendetta fu compiuta.
«Abbiamo un mese per radunare il più grande esercito che sia mai sceso dalla montagna da centinaia di anni. Diamoci una mossa.»
Lord Dace annuì vigorosamente. «Saremo pronti, maestà.» Girò sui tacchi e uscì dalla sala.
Arsim stese le gambe nel tentativo di mettersi più comodo. Il Trono di Giada era più scomodo di quanto pensasse. “Governare non è mai semplice, e il trono deve ricordacelo”, diceva sempre re Endrin.
«Malak.» Chiamò il cugino, che con un cenno si avvicinò a lui. «Hai combattuto per anni al fianco di mio fratello Volkan, e sei uno dei più valorosi guerrieri di Harrogath. Ti devo la vita. Accetti di essere il mio Secondo?»
Malak si inginocchiò, chinando il capo. «È un onore.»
Gli fece segno di alzarsi. «No, l'onore è mio.» Scese trono, stringendogli con vigore il braccio. In quel momento, la porta si spalancò di nuovo, lasciando entrare i Venator.
«Re Arsim.» Lo salutarono, chinando leggermente il capo e accennando un sorriso.
Sorrise a sua volta. «Vi devo ringraziare, amici. Con il vostro appoggio, sono riuscito ad avere la corona di mio padre.»
«Credo ce l'avreste fatta anche senza il nostro aiuto...»
Accettò il complimento di Julian, ma scosse il capo. «Ciononostante, avete guadagnato il supporto di Harrogath. Combatteremo al vostro fianco con tutte le nostre forze, salvo quelle che servono a mantenere sicuri i cancelli per le Vie Profonde.»
«Ve ne siamo grati.»
«Quali sono i vostri piani, ora?»
«Torneremo a Bowerstone, il Conte Volkhardt avrà radunato i suoi uomini. Partiremo quindi per Tristram, per affrontare Ulfric e chiudere questa storia una volta per tutte.»
Il Venator sembrava abbastanza sicuro di sé. Sperò di rivederli, che lo scontro con Ulfric si risolvesse nel migliore dei modi per l'intero Nord.
«Bene, allora non mi resta altro da fare che affrontare l'ultima questione della giornata...»
Beh, in effetti, la penultima. Ma la cena con Lady Adal non era, per una volta, una faccenda politica.
«Senua, Rica, potete entrare.»
Senua guardò di sottecchi la sorella, che per tutto quel tempo non le aveva rivolto la parola. Rica se ne stava in disparte, appollaiata su una delle scomode panche di pietra della sala d'attesa del palazzo, il piccolo Endrin in braccio.
Stufa di essere ignorata, si diresse a grandi passi verso la sala del trono.
Arsim sedeva con la sua stupidamente grossa corona in testa, l'armatura nuova portava il simbolo della casata Aducan impresso sul pettorale e sugli spallacci. Sotto alla barba curata e intrecciata, lo vide sorridere, al contrario delle espressioni serie e vagamente disgustate del resto degli uomini che li circondavano. Alla sua destra, su un trono più piccolo, sedeva Adal Helmi, mentre in piedi alla sua sinistra, la grande ascia a due mani saldamente poggiata a terra e lo sguardo impassibile, c'era Malak.
«Vostra altezza.» Lo salutò accennando una smorfia a sua volta, ignorando gli altri. «Vedo che vi siete ricordato della vostra promessa...»
«Farò molto di più, amica mia.» Fece cenno alle due di avvicinarsi. «Rica, posso vedere il bambino?»
La maggiore delle due si strinse istintivamente il piccolo al petto. Senua si dovette costringere a non sbuffare sonoramente. «Rica, datti una mossa.»
Incerta, la vide salire i tre gradini che portavano allo scranno, allungando il fagottino quel tanto che bastava a far scorgere la testolina bionda da sotto le coperte in cui era avvolto.
Arsim si sporse appena, rispettando la distanza richiesta da Rica. «Gli assomiglia.»
Sentì la sorella trasalire. Stava per farsi avanti, quando il re riprese a parlare.
«Ha l'aspetto di un principe, e il sangue di una lunga stirpe di re.» Posò la mano sul capo del bambino, che aprì gli occhi e balbettò qualcosa. «Finché non avrò un figlio mio, Endrin Aducan sarà considerato il mio erede. Se la Pietra sarà così generosa da dare altri principi alla mia casata, sangue del mio sangue, il figlio di mio fratello sarà tenuto in uguale considerazione.» Il bimbo, ormai sveglio, allungò una mano fino a sfiorargli la punta della barba. Lo sguardo del re si addolcì ulteriormente, posandosi poi sulla madre. «Ci sarà sempre un posto per voi tra queste mura e nella nostra famiglia, Rica.»
Rica cadde in ginocchio, il capo chino. Senua sapeva che stava piangendo. «Grazie, Maestà.» Ad un cenno di Arsim, si fece di nuovo indietro, tornando verso il fondo della sala.
«Per quanto riguarda te, Senua.» La chiamò il re, alzandosi finalmente in piedi. «Credo che un riconoscimento di qualche tipo sia d'obbligo.»
Lei lo guardò senza capire. Non si aspettava altro, erano questi i patti, no? Riconoscere il figlio di Rica, niente di più...
«Vieni pure avanti.»
Obbedì, confusa.
«In ginocchio.»
«Ehi!»
Lo sentì ridere. «Per una volta, cerca di non essere testarda come un dannato mulo.»
Il pavimento era freddo. Tutti gli occhi erano puntati su di lei, confusi quanto i propri.
«Senua, per avermi salvato la vita in quella cella, portandomi al sicuro nel Khanduras, per aver combattuto valorosamente sia sopra che sottoterra e, non ultimo, aver affrontato con coraggio le difficoltà delle Vie Profonde e le sfide sostenute per distruggere l'Incudine del Vuoto...»
Detto così, sembrava quasi epico. In realtà, lei non aveva fatto altro che seguire il corso degli eventi, cercando di non restare sepolta sotto una montagna di merda.
«Elevo te, allo status di Campionessa.»
Si levò un brusio indistinto, ma Senua ci mise qualche secondo a capire. «Io?! Seriamente?!»
«Alzati, Campionessa.»
Si ritrovò in piedi, spiazzata, chiedendosi come diamine fosse successo.
«Io non... non so cosa dire.»
Arsim le afferrò l'avambraccio, stringendola per un attimo a sé. «Davvero? Sarebbe la prima volta.» Esclamò con sarcasmo il Re.
Gli sguardi di tutti esprimevano sorpresa mista a disgusto, ma si affrettarono a dissimularli al meglio che potevano: nessuno contrastava la parola del Re.
«Grazie.»
L'altro annuì. «Dovrai trovare un palazzo qui vicino, immagino. Non potrei sopportare di veder crescere mio nipote lontano da sua zia... e magari, chissà, un giorno i nostri figli impareranno a combattere insieme.»
«Figli?!» Si limitò a balbettare qualcosa che poteva sembrare un assenso.
Arsim scoppiò a ridere. «Si vedrà. Per il momento, abbiamo una guerra davanti. Concentriamoci sul vincere.»
Vennero congedate con più salamelecchi e inchini di quanti ne potesse sopportare. Ovvero, anche solo uno. Sgattaiolarono in una delle sale del palazzo, dove Senua era stata ospitata con gli altri compagni dei Venator.
«Grazie.»
Si voltò verso Rica, che finalmente sembrava volerla degnare di qualche parola. «Ah, quindi ora siamo a posto.»
La vide mordersi il labbro. «Mi dispiace, non avrei dovuto dirti quelle cose. Ero spaventata.»
Incrociò le braccia al petto, guardandola storto. «Ma ora che viene fuori che avevo ragione, e tuo figlio resta un principe, puoi ricominciare a parlarmi?»
«Senua...»
Alzò una mano, interrompendola. «No, Rica. Da te non me lo sarei mai aspettato. Da Tahir , magari, da Jarvia, sicuro, per non parlare di nostra madre, che mi avrebbe volentieri venduto per due monete di rame e una bottiglia, se qualcuno si fosse mai offerto di comprarmi, ma da te no. Eri mia sorella. La persona di cui mi sono sempre fidata, e l’unica a cui volevo davvero bene.»
«Sono ancora tua sorella!» Cercò di ribattere lei, ma Senua scosse la testa.
«No, non credo. L'hai detto tu stessa. Sei stata una stronza. Quindi, fai pure, trasferisciti qui e sfrutta la nostra nuova vita, vestiti con quanti più gioielli e stoffe preziose ti gira, ma per quanto mi riguarda, dovrai fare di meglio che rivolgermi la parola per riconquistare il mio affetto.»
«Come potevo fidarmi di te?!» Le chiese allora Rica. «Sei stata condannata a morte, sei fuggita in superficie senza salutarmi e poi torni, di punto in bianco, chiedendomi di tradire l'unica persona che mi stava proteggendo, nel nome di uno sconosciuto accusato di fratricidio? Come potevi pretendere che ti dessi retta!?»
Senua sotto sotto sapeva che la sorella aveva avuto i propri motivi, e nemmeno lei stessa si era fidata ciecamente di Arsim, all'inizio. Tuttavia... alla fine lei aveva creduto nel Principe, nonostante tra i due non ci fosse alcun legame di sangue, e tutto il suo istinto da straccio le urlasse il contrario.
«Io ti ho protetta per anni. Da Beraht, da tutti quei buoni a nulla che ti ronzavano attorno, da sempre! Mi sono quasi fatta ammazzare per te, a soli sette anni, e l'avrei rifatto mille volte! Solo tu ed io, a sopravvivere nonostante tutto. Ma nel momento stesso in cui sei salita qua sopra ti sei sentita in dovere di sbattermi la porta in faccia e dirmi che non eravamo più sorelle.» Le parole di Rica quel giorno le bruciavano ancora in testa.
«Mi dispiace. Avevo paura per me, per il bambino.»
«Vaffanculo, volevi restare a palazzo ed essere madre di un principe.»
«Senua…»
«Non ho altro da dirti.»
Le voltò le spalle, uscendo dalla stanza. Percorse quasi di corsa il tragitto verso le scale che conducevano al piano inferiore, tagliando la piazza del mercato comune, per una volta completamente immune alle ingiurie, e infilandosi nella taverna affollata del Corno
Trovò gli altri seduti ad un grande tavolo in fondo alla sala.
«Ehi, pensavo fossi con tua sorella.» La salutò Ichabod, facendole spazio.
Senua si sedette pesantemente, rubando il boccale di Julian e ignorando le proteste del Venator. «Allora, quando si parte?»
La fissarono tutti sconcertati.
«Pensavo volessi restare qui.» Disse infine Miria. «Sei la Campionessa del popolo delle montagne e hai ritrovato la tua famiglia, perché vorresti tornare con noi nel Khanduras?»
Si strinse nelle spalle, sperando che non vedessero oltre la sua maschera di indifferenza. «Abbiamo un mostro da uccidere e un mondo da salvare, avrete bisogno di me.»
«Quindi riparti davvero...?»
Le gambe strette al petto, evitò lo sguardo dell'amico, facendo vagare lo sguardo sulla Città della Polvere sotto di loro. «Già.»
«Pensavo che non ti piacesse il Nord.»
«Beh posso fare un sacco di altri soldi se…»
Tahir scoppiò a ridere, forte. «Cazzate. Dillo che ti diverti a viaggiare con loro. Te lo si legge in faccia, salroka.»
Senua si grattò il naso, voltandosi verso di lui. «È così evidente?»
«Non sei mai riuscita a raccontarmela.»
«Puoi venire anche tu, sai?»
Rise di nuovo. «Vuoi davvero che ti faccia sfigurare di fronte ai tuoi nuovi amici?»
Gli diede un pugno sul braccio, forte abbastanza da farlo imprecare. «Idiota.»
«Sono serissimo. Non credo apprezzerebbero la mia compagnia.»
«Sopportano la mia, non vedo perché…»
«Tu sei tutta un'altra vena, Senua. Sei sempre stata troppo scaltra e brillante per fare la tirapiedi di Beraht. In fondo ho sempre sospettato che ti saresti cacciata in qualche guaio enorme. Certo, non immaginavo che saresti addirittura diventata una Campionessa...»
Gli tirò un altro pugno, più forte. «Dacci un taglio!»
«Ouch!» Si massaggiò il braccio offeso, ricambiando il colpo. «Ora che farai, mi taglierai la mano, Campionessa?»
«Vaffanculo!» Lo buttò a terra, trascinandolo all'indietro e rotolandosi nella polvere. Scoppiarono a ridere entrambi, azzuffandosi come ai vecchi tempi.
La mano di Tahir le si posò sulla guancia, dove c'era il tatuaggio che la identificava come una senzacasta, un rifiuto della società, uno straccio per la polvere.
«Ichabod mi ha chiesto se volevo cancellarlo.» Disse, la voce poco più di un sussurro, guardandolo dal basso. Si spostò una treccina di capelli rossi profumati.
«Il tuo amico mago?» Chiese l'altro, sorpreso. «Si può fare?»
Annuì. «Gli ho detto di no.»
«Tsk, sei proprio matta.» Rotolò di fianco a lei, restando ad osservare il soffitto di pietra, sporco e pieno di muffa. «C'è chi pagherebbe tutto l'oro di Harrogath per levarselo e dimenticarsi anche solo per un po' di essere nato straccio.»
Dal tono, era chiaro parlasse anche di se stesso. Senua si sollevò a sedere, tirando le ginocchia al petto.
«Non voglio dimenticare niente. Sono nata e cresciuta qui, è parte di me. Chi sono adesso, chi sarò poi... è partito tutto da qua.»
«Non ti facevo così sentimentale.»
Sbuffò divertita. No, nemmeno lei. «Forse hai ragione... sono pazza…» Si sentì tirare verso il basso, Tahir che aveva afferrato il colletto della sua giacca in morbida pelle. La baciò sulle labbra, stranamente delicato. «No, credo tu sia addirittura migliorata.»
“Cretino...” Pensò, ma lo lasciò fare. Sarebbe partita l'indomani, e chissà quando si sarebbero rivisti. Se si sarebbero rivisti.
Ignorò il nodo allo stomaco, perdendosi sotto al suo tocco, lasciandosi andare.
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“Dicendo il mal di tutti, il vero espressi”. Riscopriamo Antonio Ghislanzoni: ha scritto il primo romanzo fantascientifico italiano, si scagliò contro l’usura prima di Pound, ha avuto una vita “bizzarra”, è morto oggi
Il 31 Luglio 1851 nasceva a Milano Emilio De Marchi. Il 16 luglio 1893 moriva il lecchese Antonio Ghislanzoni. Due autori tra i più importanti del XIX secolo italofono. Due autori tra i più satirici della scena letteraria italiana. La collana “Brianze” edita da Bellavite di Missaglia, provincia di Lecco, e ora rinata in virtù di una sinergia con l’editore La Vita Felice di Milano, negli ultimi anni ne ha riscoperto due intriganti novelle che meritano rilettura per il semplice fatto di esser quantomai attuali, ripubblicate in due volumetti a cura di Paolo Pirola.
*
Nato a Lecco, o forse, stando ad altre fonti, a Barco, frazione di Maggianico, dubbio tra queste due opzioni su cui sempre amò giocare, è in ogni caso sul lungolago del capoluogo lariano che si trova oggi un busto a lui dedicato dopo la morte che lo colse nella Bergamasca, dopo aver vissuto anche a Malgrate e Mariaga di Eupilio.
“Certo è che pochi scrittori italiani ebbero una vita più strana, più bizzarra e dirò più travagliata della mia”, ha scritto di sé, a ragione, nel 1884, nove anni prima di passare a miglior vita e, mazziniano, antiborghese e anticlericale, di farsi cremare.
“Dicendo mal di tutti, il vero espressi”, recita poi Il mio epitaffio, d’autore consapevole dei toni spesso aspri e provocatori, membro esemplare della prima generazione della scapigliatura milanese, movimento decadentista tutto lombardo, e che scrisse: “In Italia la letteratura è mal retribuita: io vivrò e morrò bohème”.
*
Ghislanzoni fu autore di versi raccolti nel volume Il libro proibito, edito nel 1878, nel quale il poema I nostri tempi, come prima Arthur Rimbaud nelle Illuminazioni, e in seguito Ezra Pound nei Cantos, si scaglia con forza contro il dominio del mercato e contro l’usura, ma senza sapere che nel futuro il delirio del progressismo che egli stesso aveva abbracciato avrebbe contemplato persino la compravendita degli embrioni umani: “La vera sintesi / Dell’età nostra / Con breve distico / Qui si dimostra: / Tutto si compera, / Tutto si vende, / E carta sudicia / Per ôr si spende”.
Fu il fondatore di diversi giornali e riviste, tra cui Cosmorama Pittorico a Milano e il Giornale Capriccio a Lecco nonché autore del primo romanzo fantascientifico in italiano, Abrakadbara, del 1884, e di due volumi di novelle, da cui è tratta Un apostolo in missione, accompagnata anche in questo caso a un sottotitolo scelto dal curatore che esplica anno e paesi in cui ha luogo, 1861 – Peripezie di un rivoluzionario milanese tra le scettiche genti di Canonica, Ponte d’Albiate e Besana in Brianza.
*
La vicenda parte veloce in treno, lungo una nuova ferrovia, su cui viaggiano il brianzolissimo ergo tirchissimo ufficiale Augusto Regola, il quale coltiva amici e parenti col solo scopo di poterli sfruttare come appoggio per le sue vacanze, razziandone le tavole assieme alla famiglia che tiene a stecchetto tutto l’anno, e il milanese Teobaldo Brentoni, il quale, in una terra lombarda assoggettata da pochi mesi dalle armi dei nemici sabaudi, in qualità di presidente della “Società della morte” decide di andare a fare un po’ di propaganda a viva voce, presso il popolo tradito, oppresso, conculcato, straziato, contro i reazionari e i moderati ancor “più vili, più schifosi” al fine di convertirlo, lui che è un finto pauperista, che in città vive più o meno segretamente da borghese ma opta per la terza classe “per darsi l’aria di democratico” e grida d’esser: “Col popolo!… io vado col popolo!… sempre col popolo!…”, perché si sente un apostolo del satanista Giuseppe Mazzini, e infatti sogna di “rigenerare, sollevare al livello di Dio” il popolo, ma solo una volta puntualizzato che “il popolo è meglio vederlo da lontano”, e che “i contadini non sono il popolo” in quanto “essi appartengono alla specie dei bruti” e non sono dunque il vero popolo.
Ma il pavido borghese, infoiato sobillatore di arcigni contadini, pescatori e locandieri, dopo una tirata contro il matrimonio in nome della purezza, della santità, della assoluta “virtù” che a suo avviso s’incarnerebbe nelle donne (“La società infino ad ora vi ha tenute schiave, avvilite, conculcate… […] ‘Abbasso il matrimonio!’ Non è forse questo, o fanciulle, il grido dell’anima vostra contristata […]?”), è presto messo a tacere e in ignominiosa fuga dai pragmatici brianzoli col loro senso della realtà…
“E non è forse questa la terra di Dante, di Machiavelli e di Galileo?”, chiede l’apostolo mazziniano Brentoni. “Signorno! Queste terre sono in parte del conte Taverna, in parte del signor Tinelli”, gli replica un brianzolo.
Marco Settimini
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Arrestato il finto invalido che truffò anche il Papa
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Arrestato il finto invalido che truffò anche il Papa
Arrestato il finto invalido che truffò anche il Papa
«Ciao, sono Francesco». Questa frase fece il giro del mondo nel 2014, quando il Papa decise di alzare la cornetta del proprio telefono e iniziare a chiamare alcune delle persone che gli avevano scritto per avere un appoggio spirituale perché in difficoltà. Tra di loro c’era anche il fiorentino Roberto Guglielmi, rimasto paraplegico dopo un brutto incidente stradale che lo ha costretto alla sedia a rotelle dal 2007. L’anno seguente il geometra toscano fu anche ricevuto da Bergoglio a Santa Marta. Peccato che il suo incidente e la sua disabilità fosse falsa.
A scoprirlo e a porre fine alla sua truffa è stata la squadra mobile di Firenze che, grazie all’aiuto e alla testimonianza di una ex badante, hanno incastrato Roberto Guglielmi, svelando una vera e propria doppia vita. L’operazione che ha portato al suo arresto per truffa ai danni dello Stato è scattata dopo che alcune telecamere di videosorveglianza lo avevano visto in piedi a camminare tranquillamente e fare le scale scendendo da un volo proveniente dal Togo. In flagranza di reato, dunque, le forze dell’ordine non hanno esitato a fermarlo.
Roberto Guglielmi, il truffatore seriale che ingannò Papa Francesco
Roberto Guglielmi aveva inscenato il tutto alla perfezione, spingendosi fino a iniettarsi lidocaina negli arti inferiori per ridurre il tono muscolare delle gambe e far apparire la sua storia veritiera. Il tutto partì da un finto incidente automobilistico del 2007, quando si mise d’accordo con un inquilino che viveva nella sua abitazione affinché fingesse di investirlo con la sua automobile. Detto fatto. Complice anche una cartella medica contraffatta, il geometra fiorentino riuscì ingannare lo Stato dimostrando di essere diventato paraplegico. Per questo motivo, dopo 12 lunghi anni, per lui sono scattati gli arresti domiciliari e ora dovrà rispondere delle accuse di falso ideologico e truffa. Nel tempo ha incassato oltre 137mila euro tra pensione di invalidità e accompagnamento.
Le proteste con il Pd e la finta raccolta fondi per il cane malato
Il 55enne fiorentino era un truffatore seriale. Oltre ad aver acquisito notorietà per il doppio episodio con papa Francesco, nel 2013 si era reso protagonista di una protesta contro il Pd locale reo, secondo lui, di non avergli permesso di esprimere il suo voto in favore di Matteo Renzi alle primarie del partito. Lo scorso anno aprì una raccolta fondi per un presunto cane malato. Un recidivo che viveva alle spalle dello Stato e faceva di tutto per apparire.
L’articolo Arrestato il finto invalido che truffò anche il Papa proviene da Giornalettismo.
Fingeva di essere paraplegico e nel 2014 ricevette una telefonata speciale da Bergoglio
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Enzo Boldi
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Rami e cielo
Mi sono addormentata troppo tardi questa notte e ora sono le 8, sono già sveglia, devo vestirmi, devo bere velocemente questo caffè, ho delle occhiaie che mi costeggiano gli zigomi, ho dormito poco.
Ma è stato tutto così rapido che sono già in macchina, che sono nervosa e ho la nausea.
Vorrei riaddormentarmi, ma voglio godermi anche quest'album così bello che dovrei ascoltarlo da sola, nella mia stanza e nessuno intorno.
Ho alzato il volume. Queste canzoni sono nel mio cervello, non ho più la voce nella mia testa, non riesco a sentire i miei pensieri.
Riesco a vedere mio padre parlare e gesticolare mentre guida, mia sorella che si tocca i capelli, mia madre non la vedo, ma mi accarezza i capelli mentre appoggio la testa sulle sue gambe.
Da qui la vista è bellissima. Il cielo è così chiaro che sembra bianco, il sole è così forte e chiaro che mi sta accecando. E intanto stiamo passando avanti a centinaia di alberi, tutti diversi, ma tutti nudi. Fanno da cornice a questa tela celeste.
Questa canzone non è adatta, ma la voglio ascoltare ora, non mi interessa. Non mi importa niente. E il sole è così forte che ho finto che la colpa sia la sua a farmi rigare il viso da una lacrima.
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Occidente compatto al fianco di al-Qaeda…17 anni dopo l’11/9
16 settembre 2018
di Gianandrea Gaiani
Diciassette anni dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, l’Occidente è il migliore alleato di al-Qaeda e degli altri jihadisti spalleggiati dalle monarchie del Golfo Persico. Lo si vede bene in Siria, dove Usa ed Europa fanno di tutto per impedire che le truppe di Assad appoggiate da russi e iraniani conquistino l’ultima roccaforte ribelle nella provincia di Idlib. Qui si stima combattano 10/15 mila miliziani per lo più di Tharir al-Sham (ex Fronte al Nusra, braccio di al-Qaeda in Siria) le cui milizie controllano il 60 per cento di quel territorio. La caduta dell’ultimo lembo di Siria in mano ai jihadisti è vista come una sciagura dall’Occidente che, dopo aver aiutato con armi e “consiglieri militari” i ribelli anti-Assad, oggi minaccia raid aerei come quelli scatenati nell’aprile scorso se il regime siriano dovesse impiegare armi chimiche. Ipotesi improbabile poichè Assad non avrebbe alcun vantaggio politico o militare ad impiegare armi chimiche ma l’intelligence russo ha raccolto molte prove che i jihadisti stanno organizzando, con l’aiuto di contractors britannici, un finto-attacco col cloro per attribuirne la colpa a Damasco e giustificare un blitz. Una sceneggiata già vista più volte in Siria, necessaria all’Occidente per coprire un appoggio ai qaedisti che farà rivoltare nella tomba le vittime dell’11/9 e del terrorismo islamico. Per il segretario di Stato americano, Mike Pompeo i russi hanno ragione a dire che a Idlib ci sono i terroristi ma “devono combatterli senza mettere a rischio la vita di civili innocenti”. Come hanno fatto gli Usa in Somalia, Afghanistan, Iraq, Yemen e in ogni altro Stato dove sono intervenuti in armi? Da quale pulpito viene la predica: 16 anni di “guerra dei droni” hanno provocato migliaia di “danni collaterali” e solo nella battaglia di Mosul centinaia di civili sono stati colpiti per errore dai raid aerei Usa. L’Isis, come i qaedisti e tutti i gruppi insurrezionali, utilizzando i civili come scudi umani ma per Pompeo solo le bombe russe rischiano di uccidere innocenti. Con sommo sprezzo del ridicolo, il segretario di Stato ha infatti dichiarato poco dopo che nel conflitto yemenita i militari sauditi ed emiratini (alleati di ferro degli Usa) “prendono misure evidenti per ridurre il rischio contro i civili nel quadro delle loro operazioni militari”. Anche la Francia è un convinto fans dei qaedisti: il ministro degli Esteri, Jean Yves Le Drian, minaccia rappresaglie in caso di attacco chimico e teme che l’offensiva siriana “rischi di disperdere migliaia di foreign fighter all’estero, mettendo in pericolo l’Occidente”. Strano che la stessa preoccupazione non l’abbia avuta in occasione delle offensive della Coalizione contro l’Isis a Raqqa e Mosul a cui hanno preso parte anche i militari francesi e che hanno fatto crollare lo Stato Islamico determinando il ritorno in Europa di molti foreign fighters. Persino la Germania, nonostante la Costituzione “pacifista, valuta di partecipare ai raid aerei anglo-franco-americani che verrebbero scatenati in seguito ad attacchi chimici, veri o falsi che siano. Dovrebbe far riflettere il fatto che Berlino non abbia mai lanciato un solo ordigno contro l’Isis né contro i talebani ma sia pronta a combattere Assad per aiutare i tagliagole di al-Nusra, 50 dei quali sono peraltro ricercati come terroristi dalla polizia criminale tedesca. Del resto l’Europa vendutasi ai petrodollari del Golfo, sta aiutando il terrorismo islamico anche sul fronte interno: jihadisti scarcerati in massa, foreign fighters lasciati liberi di muoversi, estremisti sovvenzionati dal nostro welfare e immigrazione islamica dilagante. “Dobbiamo impedire che la Siria sia distrutta dalla guerra civile” ha detto l’11 settembre il presidente del parlamento europeo, Antonio Tajani. Ora è troppo tardi ma avremmo potuto farcela sei anni fa se non ci fossimo schierati con al-Qaeda e gli altri jihadisti. @GianandreaGaian da Libero del 15 settembre 2018 Foto: AP, Ghouta media center, AFP, Fronte al-Nusra Preso da: https://www.analisidifesa.it/2018/09/occidente-compatto-al-fianco-di-al-qaeda-17-anni-diopo-l119/ https://ift.tt/2MYaPPD
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. I n s t a g r a m — @𝗿𝗲𝗮𝗹𝗸𝗮𝘁𝗲𝗰𝗼𝗼𝗽𝗲𝗿 : 09.09.2018 After Blair & Sirina moment, we are blessing you with a Marissa & Summer moment when I stole champagne and she brings vodka. We're such 90'kids @serenalilianbradshaw
. I n s t a g r a m — @𝗿𝗲𝗮𝗹𝗸𝗮𝘁𝗲𝗰𝗼𝗼𝗽𝗲𝗿 : 18.09.2018 Ho preso una piccola pausa dai social media per riflettere sull'immagine che io come donna e professionista voglio dare. Ho letto tutte le polemiche che vengono accostate a me, al mio carattere, alla mia fisicità e alle mie scelte di vita e ho deciso di rompere questo silenzio di gentilezza e finto buonismo. Ho deciso di dire basta a queste discriminazioni ed impedire che l'odio parli per me. Abbiamo sempre sostenuto il #bodyshaming in supporto delle taglie forti, ma mai in supporto di chi ha un fisico più asciutto, l'obbligo di ingrassare o sentirsi appagata quando il mondo continua a farti pressione è una sensazione di continuo fallimento e il peso che senti diventa insopportabile. Se perdessimo qualche minuto a riflettere e meno a digitare, questo sarebbe un mondo migliore e i social sarebbero meno tossici. Se dipendesse da me, eliminerei ogni mio account, ma io con i social lavoro, sono un influencer ed un fashion editor e aggiornare il mio blog e postare gli eventi a cui partecipo è parte della mia vita da quando ho aperto il dandy's girl 5 anni fa.Lavoro duro e indefessamente, sono la prima ad arrivare e l'ultima ad andare via nei miei uffici, ho orari che non immaginate e vivo in un fusorario tutto mio per i mille Jet Leg, voi vedete il risultato e non il sacrificio. La scelta di non postare nulla sul matrimonio di mio fratello, non deriva dall'invidia, ma la mia famiglia è una delle poche cose che ho private e voglio mantenerle tali il più possibile, ogni cosa, pensiero o frase che ho rivolto a Cassandra e Sebastian è stata fatta dal vivo, non nascosta dietro uno schermo, a volte, con i social si perde il potere delle parole. Per quanto riguarda la mia polemica sul mio fantomatico appoggio a Jack Logaɳ Fox per le accuse di molestie che gli sono state mosse dissocio il mio pensiero da @vogue.us. Tuttavia credo fermamente che non bisogni accusare e credere a tutte le offese, il concetto di femminismo va oltre l'appoggio ad ogni cosa, la sorellanza e il supporto non sono incondizionati, ogni donna ha un cervello e un identità e può scegliere le sue battaglie così come ho scelto la mia. Conosco jack fox da quasi 10 anni ed a discapito di quello che si può leggere su un giornale non è come viene dipinto e si dipinge. Tra tutte le persone che conosco è l'unica ( o una delle poche ) dove posso asserire fermamente di non aspettarmi alcuna violenza o sopruso, anzi ho sempre trovato un totale appoggio in lui, in me e nelle donne in generale. A volte siamo chiamati a prendere una posizione ed io non voglio essere ignava lasciando che voi altri ed un finto perbenismo decidiate per me. Io ho sempre deciso con la mia testa e come tale sono libera di credere in quello che voglio e a chi voglio. Spostiamo questo velo che ci fa credere che tutto ciò che leggiamo, tutto ciò che viene riportato è vero e analizziamo la vita con spirito critico, pesando ogni affermazione. Se non siete in accordo con me, con i miei contenuti e con le mie parole non siete obbligati a seguirmi o scrivere su di me. Vi invio tutto l'amore e il rispetto di cui sono a disposizione 🌸
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